Intel che abbandona la “pista scaligera” e Rana che realizza precotti per l’industria spaziale come comfort-food per gli astronauti: l’industria veronese sta in questi due estremi. Ma questa fotografia può anche essere fuorviante: perché la regione del Garda – ovvero le province di Verona, Trento, Brescia e Mantova cui si aggiunge Vicenza che gravita su questo bacino – restano il cuore della crescita del Paese dei prossimi anni grazie alla centralità geografica, alla presenza di due assi autostradali strategici (lungo la A4 si trovano sette delle dieci province più prospere d’Italia e lungo la A22 altrettante) ed alla ricchezza e profondità del suo tessuto manifatturiero.
Un dato su tutti: il valore aggiunto realizzato dall’industria in senso stretto nella regione del Garda nel 2007 è stato pari a 31,3 miliardi €, il 10,5% di quello realizzato complessivamente dal settore industriale nazionale (296,7 miliardi€). Quindici anni dopo, nel 2021, il valore aggiunto si è avvicinato alla soglia dei 40 miliardi con una crescita del 24%. Il suo peso sul dato nazionale era cresciuto di un punto esatto, attestandosi all’11,5% (337 miliardi in tutto), ma rispetto al resto del Paese la sua crescita è stata praticamente doppia: il 24% come dicevamo a fronte del 13,7% nazionale.
In questo lasso di tempo il valore aggiunto dell’industria veronese è cresciuto del 25,4%, dieci punti meno di Trento (che però esprime in termini assoluti la metà del dato scaligero) e 5 punti in meno di Vicenza che rappresenta però la sesta provincia industriale in Italia con un valore aggiunto in termini assoluti che doppia quello scaligero: 11,5 miliardi contro 6,6.
G7, 40 miliardi di valore aggiunto dall’industria
Cosa è capace di realizzare questo “bacino” con Verona al suo centro, lo dimostra anche l’evoluzione del valore aggiunto industriale nelle diverse aree del Paese: se il Nordest è cresciuto complessivamente del 5,3% negli ultimi sedici anni, nel Nordovest è crollato dell’8,4 mentre il Centro la flessione è stata del 14,2% mentre per il Mezzogiorno siamo all’emergenza vera e propria con una deindustrializzazione de facto con oltre un quarto dell’industria che è uscita dalle statistiche.
E’ su questo tessuto già forte che arriveranno le disponibilità di Industria 5.0 che vuole replicare il successo del precedente pacchetto di sgravi fiscali adottati a suo tempo dal governo Renzi per rivitalizzare il comparto produttivo agevolando gli investimenti nell’innovazione: il rimbalzo record post-covid del Pil italiano è stato frutto anche di quel pacchetto di premi fiscali ai “coraggiosi” che hanno investito sull’industria nel nostro Paese. Oggi, il governo Meloni mette sul piatto un montante di 13 miliardi (la metà ereditati da industria 4.0 e l’altra parte reindirizzando il PNRR) che dovranno essere spesi quest’anno e il prossimo.
A questo si aggiunge un altro miliardo per il Chips-act (in totale sono 4,75 miliardi riservati a chi vorrà produrre anche in Italia quei microchip che oramai regolano la nostra vita quotidiana e che ora sono esclusiva di Taiwan e debbono attraversare un Mar Rosso mai così pericoloso per arrivare ai nostri siti produttivi) e altri 420 milioni pe le PMI a fondo perduto per l’efficientamento energetico. Una pioggia di milioni senza burocrazia aggiunta. Un’opportunità che l’industria veronese si appresta a cogliere