L’epilessia non è una malattia. E’ una sindrome, caratterizzata da frequenti crisi convulsive o da altre manifestazioni critiche motorie, sensitive, psichiche che hanno la caratteristica di presentarsi improvvisamente e a intervalli di tempo.
Nel mondo sono 50 milioni coloro che convivono con questa disabilità neurologica che causa 125mila morti all’anno. In Italia oltre mezzo milione.
Tutti i neurologi concordano su un fatto: è più grave lo stigma che le è stato associato nel corso dei secoli che la sindrome epilettica in sé stessa.
Il fatto che le crisi insorgano all’improvviso e portino alla perdita di coscienza ha contribuito fin dall’antichità a marcare l’epilessia come qualcosa di spaventoso. Di qui i termini con i quali veniva definita: morbus sacer o astrali o demoniacus o caducus, nella convinzione che fosse determinata da qualcosa di misterioso, ultraterreno. E qualcosa di questa superstizione è arrivato fino noi.
Perciò l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha approvato un piano dedicato (Intersectoral Global Action Plan on Epilepsy and other Neurological Disorders) che mira a ridurre lo stigma, migliorare l’accesso alle cure e la migliorare la qualità della vita di chi è portatore di questa condizione neurologica, dei loro caregiver e delle loro famiglie.
Oggi è possibile gestire l’epilessia con molti farmaci che curano le crisi epilettiche e sono ben tollerati. Circa il 30% presenta delle forme resistenti ai farmaci, per il fatto che certi meccanismi molecolari del nostro cervello non sono ancora ben conosciuti e quindi, se l’origine dell’epilessia è all’interno di questi meccanismi è difficile individuare il farmaco che possa agire.
Non è tanto l’epilessia oggi il problema, dato che la farmacologia permette di conviverci a milioni di persone, ma è l’epilessia farmaco-resistente perché incide pesantemente sulla qualità della vita. Quella farmaco-resistente di tipo focale, nella quale il focus epilettogeno interessa un punto ben definito della corteccia cerebrale, oggi è possibile curarla in certi casi con la chirurgia.