Un giudice martire e beato, un uomo che ha testimoniato e onorato l’operosità, la fierezza, l’attaccamento alla vita e il desiderio di verità e giustizia di un popolo trasmettendo valori come la fratellanza, la giustizia e la pace. Questo è stato e così viene ricordato oggi Rosario Angelo Livatino, il coraggioso magistrato siciliano ucciso dalla mafia nel 1990 e beatificato due anni fa. A lui Verona dedica due eventi in Gran Guardia: domani, venerdì 3 marzo, il convegno “Sub Tutela Dei – Il Giudice Rosario Angelo Livatino”, e una mostra multimediale da giovedì 9 al 21 marzo.
L’iniziativa unisce organizzazioni civili, giudiziarie e religiose per far conoscere un uomo giusto e aperto a tutti, come da lui stesso spiegato, perché “per poter giudicare occorre un dono, un’illuminazione, una preghiera, o una tensione al bene comune, al corpo sociale per chi non crede”. “Rosario Livatino è testimone di valori umani senza tempo illuminati dalla fede”, ha detto presentando l’iniziativa la vicesindaca Barbara Bissoli. “Ringrazio chi ha condiviso l’organizzazione degli eventi che intendono confermare la forza esemplare di questo magistrato di cui Verona riafferma il valore fondamentale di testimonianza per la formazione della coscienza civile, del senso civico, dell’etica delle nostre comunità”.
La potenza della testimonianza dei valori incarnati da Livatino è fatta risaltare dalla morte tragica di un uomo giusto. “Vogliamo anche sottolineare la bellezza della sua vita luminosa, la coerenza e la credibilità che ha perseguito con tanta intensità. La sua vita professionale è fatta di pochissime parole, di una rilevante dimensione interiore e di azioni quotidiane coerenti con i valori in cui credeva profondamente”, ha aggiunto Bissoli. Consapevolezza della propria funzione e della missione, impegno, riservatezza, umiltà, scrupolo, serietà e forza nella scelta da intraprendere la professione.
Il primo appuntamento è il convegno di domani pomeriggio, con inizio alle 17.30: “Sub Tutela Dei – Il Giudice Rosario Angelo Livatino”, con relatori Giovanbattista Tona della Corte d’Appello di Caltanissetta, Salvatore Insenga, cugino di Rosario Livatino, e Guido Facciolo, curatore della mostra e avvocato della “Libera Associazione Forense” di Verona. Al convegno seguirà dal 9 marzo nella Sala Polifunzionale della Gran Guardia la Mostra multimediale sulla vita del giudice, fino a martedì 21. La mostra resterà aperta dalle 9 alle 13.30 e dalle 16.30 alle 20.30, con avvocati e magistrati di Verona a fare da guida. Per informazioni o per prenotare visite guidate è possibile scrivere alla email livatino.verona@gmail.com o chiamare i numeri 347-1465753 e 333-2300082 (9-11 e 15-17).
“Rosario Livatino rappresenta l’unità di una persona che sa che il giudizio riguarda non solo il magistrato o l’avvocato, ma tutti noi, qualsiasi cosa facciamo”, è il pensiero di Guido Facciolo. “Ogni giornata è bella se sappiamo discernere e non ci tiriamo indietro nel giudicare quello che dobbiamo giudicare, mentre è triste e smorta se non lo facciamo. Questo giudizio sta assieme all’amore verso la persona giudicata che, per Livatino, era una persona che aveva commesso reati abominevoli, eppure lui parla di amore. Mettendo insieme tutto questo ne esce una persona stupenda che ha saputo dare genialità alle sue indagini assolutamente innovative”.
“La vita di Rosario Livatino genera due considerazioni, una legata alla vita e una alla sua persona”, ha spiegato Mauro Regis, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Verona. “Il primo insegnamento è aver portato la fede nel mondo della giustizia non come parola vuota ma come concreto modo di vivere, rendere e ricevere giustizia. Il secondo riguarda la persona ed evoca il concetto di normalità e semplicità che divengono eccezionalità. Livatino ci ha insegnato con la sua vita come applicare alla giustizia i principi evangelici”. “La mostra è sviluppata in quattro sezioni più una, con la possibilità di seguire anche dei video di supporto”, ha poi chiarito il presidente dell’associazione culturale “Rivela” Ermanno Benetti. “Ringrazio i curatori dell’esposizione per il senso di responsabilità che hanno avuto nell’affrontare questa avventura”.
“Rosario Livatino era stato definito “giudice ragazzino”, quelli di prima nomina in età molto giovane. Ma se tutti i giudici ragazzini fossero stati come lui avremmo gestito molto meglio l’amministrazione della giustizia”, secondo Massimo Vaccari, giudice del Tribunale di Verona. “Aveva grande sensibilità per i propri cari, il lavoro, i colleghi e gli imputati. E poi rigore nell’applicazione della legge, nello scrivere i provvedimenti in base a decisioni motivate e argomentate. Livatino ci ha lasciato parole che ancora adesso sono illuminanti, profondissime e di grande attualità, con le quali aveva valutato una magistratura che, all’epoca, correva già il rischio di essere troppo politicizzata”.
“La vicenda di Rosario Livatino ci parla di una tradizione cristiana che ha cercato di tradurre nelle viscere della sua professione proprio perché ne potesse venire un’umanità più bella”, ha concluso monsignor Cristiano Falchetto, provicario generale. “Credo che il convegno sia un’occasione privilegiata per mettere in luce anche questo aspetto di cui la Chiesa è particolarmente gioiosa nel ricordare e nel fare memoria”.
Livatino, nato a Canicattì il 3 ottobre 1952, fu un magistrato serio e rigoroso, che perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale attraverso sentenze cosi ben costruite da reggere tutti i gradi di giudizio successivi. La sua condanna a morte fu decisa da una nuova cosca mafiosa che voleva distinguersi rispetto a Cosa nostra. Venne ucciso mentre si recava al lavoro, da quattro killer armati di mitra, fucile e pistole. Proveniente da Azione Cattolica, Livatino era un credente e soprattutto uomo credibile. La fama di santità e di martirio di Livatino inizia subito dopo la sua morte, e la Chiesa che non tarda a segnalarlo tra i modelli di vita cristiana e come testimone del XX secolo.
Per Papa Francesco, che maggio del 2021 lo ha proclamato beato., Livatino è “un esempio luminoso di come la fede possa esprimersi compiutamente nel servizio alla comunità civile e alle sue leggi e di come l’obbedienza alla Chiesa possa coniugarsi con l’obbedienza allo Stato, in particolare con il ministero, delicato e importante, di far rispettare ed applicare la legge”. “Sub Tutela Dei”. Era il motto che racchiudeva il significato profondo in cui consisteva la sua vita: cioè, non sotto la tutela dei potenti, ma dentro la protezione e l’abbraccio del Mistero di Dio.