(Di Gianni Schicchi)  La musica jazz si addice all’Orchestra areniana! È proprio il caso di dirlo dopo lo strepitoso successo nel terzo concerto della Fondazione al Filarmonico, per il netto apporto della sua sezione fiati (flauti, oboi, fagotti, clarinetti, trombe, corni, ecc.). Una componente orchestrale, che a seguito di alcuni giovani innesti, si sta mostrando pienamente all’altezza di ogni compito assegnatole e che nel nostro caso erano alcune partiture novecentesche chiaramente ispirate al genere jazzistico. 

Il successo della serata è dovuto anche alla presenza, per la prima volta al Filarmonico, di una brillante Manuela Ranno sul podio (alla faccia di chi sostiene che le donne non ne sono all’altezza) e di un virtuoso e talentuoso violoncellista come è apparso il colombiano Santiago Cañon-Valencia.

Il palcoscenico del Filarmonico non offriva molto spazio a disposizione per la concomitante preparazione dell’opera Werther (andrà in scena da domenica 26 marzo): un motivo per adottare quindi un programma adeguato ad un ridotto complesso di una ventina di musicisti. E la Suite op. 4 per 13 strumenti a fiato di Richard Strauss, con La Création di monde di Darius Milhaud e il Concerto per violoncello e orchestra di fiati, si sono rivelati il terreno ideale per richiamare un interesse del pubblico davvero insolito ed eccezionale.            

Già nell’affrontare la grazia melodica del lavoro giovanile di Strauss, trattata con lievi sperimentazioni armoniche tipiche dell’inquieta fine secolo, si è apprezzata la salda bacchetta di Manuela Ranno, una direttrice (anche soprano) dalle idee chiare e di cui si è ammirata la strepitosa abilità coloristica usata a piene mani. Una bella scoperta per i piani futuri della Fondazione, che si è confermata nella successiva La création du Monde assieme a tutto il complesso areniano (sugli scudi anche un superbo sassofono tenore), superatisi nell’eseguire un brano geniale che coniuga stilemi ritmici, tematici e strumentali jazz, con una compattezza formale raffinata.

Era molto atteso poi il conclusivo (e mai dato a Verona) Concerto per violoncello e fiati di quel genio assoluto che è stato Friedrich Gulda, uno dei più poliedrici e straordinari artisti del suo tempo. Pianista, compositore, direttore d’orchestra, maestro, fra gli altri, di Martha Argherich e Claudio Abbado, che si mise prepotentemente in luce a soli sedici anni, diventando celebre a venti e osannato nell’Europa occidentale come nelle due Americhe e in Giappone. Gulda non era soddisfatto del suo lavoro perché sentiva che il pubblico dei concerti era quantitativamente troppo poca cosa rispetto al pubblico della musica e per lui il concerto era come una gabbia. Detestava di presentarsi con addosso il frac, considerato una divisa, e di suonare per un pubblico che a suo giudizio assisteva al concerto come ad un rito. Pur proseguendo nell’attività che gli dava da vivere, trovò la sua evasione e la sua ragione di vita nel jazz.

Il suo spettacolare Concerto per violoncello e orchestra di fiati, basso e batteria è tra i più rappresentativi della sua abilità nell’abbattere gli steccati tra i generi e sfidare le convenzioni. Santiago Cañon-Valencia lo ha affrontato con un piglio deciso e risoluto, padroneggiando magnificamente lo strumento (la lunga cadenza del secondo movimento è sua, non di Gulda), non puntando solo ad un dichiarato intento virtuosistico, ma privilegiando sempre la comunicazione di un immediato contenuto espressivo, risolto con spigliata disinvoltura e concentrato sui significati formali e poetici del compositore. Successo straordinario della serata con il pubblico (molti i giovani presenti) che non cessava di applaudirlo assieme alla direttrice ed all’orchestra. Concesso un bis dopo ben cinque chiamate in proscenio.