(di Riccardo Bovolin) La sanità pubblica è in difficoltà in Italia cosi come in paesi a noi “affini”, Francia e Germania in primis. Le sfide sono per tutti innumerevoli e, come spesso succede, molto si riduce a una questione di denaro. Le prestazioni sanitarie hanno costi sempre più elevati e il portafogli di spesa al contrario è sempre più sottile, soprattutto in Italia. Tanto è vero che negli ultimi decenni abbiamo assistito a continui tagli alla spesa pubblica sanitaria e budget regionali bloccati. In molti si aspettavano un’inversione del trend di spesa “grazie” alle conseguenze del Covid sull’infrastruttura sanitaria, il quale ne ha evidenziato carenze e criticità. Ma anche il Pnnr ha deluso le attese e ha visto una parte irrisoria del suo totale destinata alla spesa sanitaria. Il che purtroppo conferma ancora una volta la disattenzione delle istituzioni su queste tematiche. La salute pubblica dipende dunque dalla salute dell’economia pubblica e dalla volontà del governo nell’investire le dovute risorse. Non solo per quanto riguarda il loro ammontare. Infatti l’amministrazione deve guidare le aziende ospedaliere nell’investire i contributi ricevuti in linea con una strategia di generale efficientamento dei processi e delle prestazioni.
Come per ogni azienda che si rispetti, il miglioramento delle performance si può ottenere aumentando la propria efficacia ancorché aumentando la possibilità di spesa. Per l’azienda sanitaria diventa sempre più difficile fornire i cosiddetti Lea “Livelli Essenziali di Assistenza” e per continuare a preservare la salute dei cittadini deve perseguire entrambi: modernizzazione di strutture, processi e obiettivi per l’efficientamento delle prestazioni assieme ad un aumento coerente della spesa sanitaria pro capite.
Non è una situazione particolare quella italiana, i paesi sviluppati di tutto il mondo affrontano la stessa difficile situazione. Per non reinventare la ruota, come si suole dire, si potrebbe trovare una soluzione seguendo la ricetta già sviluppata da altri nostri vicini e alleati europei (e non). Tralasciando l’incremento della spesa pubblica che, di per sé, non significa una soluzione del problema (siamo bene a conoscenza di come i soldi possano essere sprecati in modo incredibilmente efficiente), la migliore strada verso un sistema sanitario sostenibile e affidabile è quella della riduzione dei costi di “gestione” del paziente dal punto di vista logistico operativo ma, soprattutto, da quello della prevenzione e cura delle malattie. In una società come quella italiana che invecchia molto velocemente, l’impatto di una tale politica preventiva sarà ancora più determinante. Per raggiungere entrambi i risultati bisogna ricorrere ad un uso più accurato ed efficiente dei dati dei pazienti. In questo caso non parliamo solo dei dati riguardo alla loro salute, ma anche dei dati in merito alla loro esperienza negli ospedali italiani.
Senza andare troppo nel dettaglio, è interessante notare da subito come ci sia un minimo comune denominatore: i dati. Bisogna dunque cambiare rotta. L’attività ospedaliera non può più essere banalmente relegata al classico rapporto medico-paziente il quale, quando non si sente bene, chiama il proprio medico ed entra in un processo “chiuso”, durante il quale affronterà visite, terapie, interventi senza che gran parte delle sue attività vengano registrate. Bisogna che tutta la sua “vita sanitaria” sia registrata e messa a disposizione del personale medico cosi come del Ssn in modo continuo e costante. Questo ci porta ad affrontare dapprima un problema strutturale dei nostri medici, ospedali e istituzioni pubbliche, i quali non sono preparati con appropriati strumenti informatici a monitorare i propri pazienti. La sanità infatti non è digitalizzata, ancora. Manca altresì personale medico (e non) qualificato nell’utilizzo di tali sistemi.
Il vantaggio dell’implementazione dei dati è molteplice. Per iniziare dal punto di vista del Ssn (e delle Regioni), il fatto di seguire i pazienti con strumenti digitali porta alla possibilità di migliorare incredibilmente la programmazione (effetto proattivo) e a potenziare le prestazioni degli ospedali e dei medici (effetto reattivo). La riduzione dei costi tramite la digitalizzazione per il trattamento dei pazienti è quindi duplice. I degenti potranno essere trattati prima dell’insorgere delle patologie (pensate anche agli impatti economici nella riduzione dei permessi di malattia) e, quando dovessero ammalarsi, potrebbero essere curati in modo più veloce e accurato. In questo caso è interessante investigare il potenziale sviluppo della digitalizzazione per permettere cure a distanza con strumenti impiantati nei pazienti e collegati in remoto. Non solo: gli stessi sistemi di raccolta dei dati potrebbero essere usati dagli ospedali per migliorare l’esperienza del paziente prima, durante e dopo la visita alle loro strutture. É il caso di non dimenticarci che una persona malata ha ancor più diritto a ricevere un servizio a lui gradito. Si è sempre ritenuto che sia sufficiente curare il paziente ma nel 2023 questo non è più soddisfacente. Come delle vere e proprie aziende, quelle ospedaliere hanno il l’onere e il dovere di interpretare i piaceri dei loro “clienti” e delle loro famiglie. Il vantaggio sarà anche in questo caso molteplice. Tanto è vero che lo sviluppo di migliori servizi non solo può incrementare il numero dei propri pazienti ma ne ridurrà anche i costi di gestione. Ad esempio, grazie all’analisi dei dati è possibile comprendere come organizzare gli spazi, sviluppare nuove prestazioni in modo ciclico magari in base all’analisi dei flussi, ridurre i costi operativi delle mense, etc…
Per concludere, la digitalizzazione ospedaliera conviene a tutti, Ssn, ospedali pubblici e privati, medici e pazienti. Senza contare l’impatto sul/del settore assicurativo sanitario di cui, magari, potremmo trattare in un prossimo articolo. È infatti il solo metodo per assicurare agli italiani un’assistenza sanitaria per nostra volontà universalista. Si tratta “solamente” di avere il coraggio di cambiare.