(di Sandro Rigoli) Ho letto con attenzione l’intervento della legale della “Rete Lenford” apparso su l’Arena del 24 marzo. Mi ha colpito la spensierata freddezza con la quale ha liquidato l’argomento di quella che benevolmente viene definita anche “maternità surrogata”: spensierata freddezza che fa pensare che si stia parlando di una specie di locazione turistica oppure di un comodato d’uso, salvo poi rendersi conto che si parla invece di ben altra cosa.

Se quello che la iscritta all’albo forense di Treviso fosse vero, allora sarebbe consequenziale dire molto più sinceramente: “il corpo è della donna e ne fa quello che vuole”. Quindi, essa può anche serenamente vendere tout court il frutto del proprio grembo e, aggiungo io, farselo anche pagare salatissimo (come peraltro avviene in alcune realtà).

Invece, e penso che la legale di Rete Lenford lo sappia, vendere figli non si può.

Ma non solo in Italia: in tutto il mondo e persino nella felice India dove pure esistono delle vere e proprie strutture “riproduttrici” (le chiamano “fattorie” a proposito…) dove gli spensierati sostenitori di questa pratica ritengono che il tutto venga fatto per “spirito altruistico” e che i denari vengono dati per ripagare la donna delle spese della benzina per recarsi alle visite, per gestire i nove mesi di gravidanza, insomma una sorta di  “argent de poche“ che – vivaddio – potrà mai essere negato a chi fa una “gestazione per altri”?

Con una metafora degna di Rosa Luxembourg poi, la intervistata afferma anche che chi dona il sangue lo fa per altruismo (anzi, negli USA viene anche pagato, afferma con entusiasta convinzione). E, pertanto, perché fare una battaglia ideologica su questo tema? E allora, sempre per essere consequenziali fino in fondo, cosa ci sarebbe di più bello che salvare vite umane anche vendendo i propri organi?

Dono un mio rene, me lo faccio pagare centomila euro (se sono magari del sud est asiatico bastano anche millecinquecento) e chi può dirmi niente, visto che sono altruista?

Peccato che anche in questo caso, in tutto il mondo e non solo nell’Italia meloniana, anche questa pratica sia considerata un gravissimo reato: ma nessuno al mondo capisce un fico secco tranne ovviamente chi ragiona come sopra. I diritti, infine conclude la giurista, vanno tutelati sempre (banalità disarmante): anche i desideri?

Nulla, poi, sul tema etico, che evidentemente non rileva, ma nemmeno una riga sul fatto che per esempio la gravidanza sia considerata come una catena di montaggio per assecondare i desideri di coppie etero od omosessuali, cattoliche o non credenti, ed a nessuno importa che l’utensile vero e proprio sia la donna, la quale per nove mesi (a tacere delle terapie ormonali cui sovente deve sottoporsi per accogliere fruttuosamente l’embrione) ogni giorno fino ad arrivare al momento critico del parto, si trasforma solo in un trascurabile dettaglio: ragion per cui ti pago e adesso ti levi dai piedi!

La cosa inaccettabile che questa deriva relativista intende legalizzare a tutti i costi, è separare il neonato da chi lo ha partorito, impedirne l’allattamento, evitare che nasca qualsiasi empatia carnale e psichica con l’esperienza pre-parto sulla quale milioni di pagine sono state scritte (l’importanza, la necessità, addirittura il dovere!) ma che per l’utero in affitto, per magia, nessuno cita più: ipocrisia inaccettabile, questa!

I figli della maternità surrogata sono e resteranno sempre orfani, nonostante il numero impressionante dei soggetti che hanno contribuito al “desiderato” evento, e cioè i genitori che li hanno commissionati, chi dona lo sperma, chi dona l’ovocita e che dona l’utero: rimarranno orfani per sempre perché, per disposizione di legge, mai avranno il diritto di conoscere la loro origine e la loro madre. Peccato non esistano più le vere femministe di una volta, che mai avrebbero accettato questa “procedura” altruistica, come candidamente è stata definita.

E dei “contratti blindati che fissano tutto per bene” giustamente avrebbero fatto l’unico uso che meritavano…