(di Francesco Bovolin) Da decenni i tribunali sono ingolfati di casi genericamente catalogati sotto il nome di “malasanità”, spesso presentati come l’esito di errori medici o di strutture sanitarie che hanno provocato danni a incolpevoli pazienti. Studi legali di nome, ma più spesso di basso lignaggio, vivono e prosperano con queste cause.

Ma quante di queste cause hanno fondamento e si concludono con condanna del sanitario o della struttura? Udite udite, aprite bene le orecchie: il 2 %. Esatto. Solo un miserrimo 2 %. Allora facciamo insieme qualche riflessione. 

La prima domanda è: perché? Come mai tanta abbondanza di cause verso i sanitari? La risposta già la diede Seneca, col celebre “Cui prodest scelus, is fecit” nella sua famosa tragedia Medea. Che è la sintesi (non finirò mai di ammirare la lingua latina per la sua estrema sintesi e chiarezza) di ciò che in italiano traduciamo affermando che per scoprire l’autore del reato, o della malefatta, basta indagare chi se ne sia avvantaggiato. Quindi, nel nostro caso, quella miriade di poco ammirabili studi legali che, approfittando dello scontento di pazienti insoddisfatti (il più delle volte poco informati su quante siano le probabilità di successo conseguenti un atto medico, o di che tipo di successo si tratti), vengono ingolositi dalla possibilità di rivalse economiche a far seguito della millantata condanna dei presunti autori del presunto errore.
A seguire, ci si chiederà se il paziente non valuti anche quanto economicamente potrebbe costargli agire legalmente verso il presunto colpevole. E qui devo spalancare il sipario su un altro diffuso inganno, consistente nell’affermazione che il legale non presenterà parcella, ma si riterrà soddisfatto di una percentuale su quanto il paziente danneggiato otterrà dalla causa intentata. La cosiddetta “quota lite”. Legittima? Difficile a dirsi. Sono numerosissimi i pareri  in merito. L’articolo 25 del Codice Forense ad esempio, al punto 2 la proibisce. Insomma nebbie dense in Val Padana, ma resta il fatto che è un’esca efficace con la quale attirare il cliente prospettando una teorica gratuità dell’azione legale.

Ma la cosa ha attirato l’attenzione del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, che ha deciso di porvi rimedio. Ne sentivamo il bisogno. E per farlo ha nominato Adelchi D’Ippolito, già procuratore dell’antiterrorismo ma anche consigliere giuridico del Ministro della Salute, a capo della neonata Commissione sulla colpa medica, che ridefinirà la colpa penale in sanità.

Prima di dare qualche interessante stralcio del progetto di D’Ippolito, però, occorre precisare che il comportamento legale aggressivo di cui sopra, ha generato gravi conseguenze sull’esercizio della sanità creando due fenomeni gravissimi: la nascita della “medicina difensiva” e l’allungamento delle liste d’attesa per esami inutili e costosi. Ho già parlato di questo in un precedente articolo dal titolo ‘Azzeccagarbugli o Azzeccarisarcimento?’, ma ricordo che la medicina difensiva consiste in una alterata curva di scelta dei trattamenti sanitari che mira, adottando metodiche prudenti, ma anche poco raffinate, ad evitare il rischio di contestazioni legali conseguenti a possibili complicazioni a seguito di atti medici, mentre le liste d’attesa si allungano per la cascata di esami ed accertamenti eseguiti, a scopo prudenzialmente preventivo, prima di assumere qualsiasi decisione sanitaria, anche se inutili e superflui.

Quindi finalmente la politica pare decisa a portare delle correttive. Senza mezzi termini Adelchi D’Ippolito ha già dichiarato che certo, come s’è detto, i medici e le strutture sotto scacco non offrono all’utente le prestazioni che potrebbero dare e di cui avrebbe bisogno, ma ha anche aggiunto che intenzione della Commissione non è solo arginare il fenomeno delle denunce temerarie che intasano i tribunali, ma anche condannare chi le ha presentate, il quale verrà chiamato a risarcire, in caso di soccombenza in giudizio, colui che ha ingiustamente e, ripetiamolo, temerariamente accusato di malpractice sanitaria. E’ certamente un concetto che porta in se rischi valutativi assai elevati, non tanto per la temuta impunità per i camici bianchi paventata da frange incolte di agitatori  che popolano il web, quanto per la necessaria causa di risarcimento che il sanitario dovrà adire. La legge n.69 del 18/06/2009 già prevederebbe le modalità normative per avviare, snellendola, tale possibilità di ristoro economico, ma se evidentemente oggi una Commissione composta di esperti di Diritto Penale e Civile deve farsi carico di arginare il fenomeno della lite temeraria, evidentemente le leggi esistenti non si sono dimostrate efficaci. Ci auguriamo tutti che il futuro veda ridursi, drasticamente, questo dannoso fenomeno. Se Nordio & c. ne saranno capaci, se ne avvantaggerà la Sanità, ma anche i tribunali e i cittadini italiani. I quali abbisogneranno anche, se tutto andrà a buon fine, di un certo lasso di tempo per imparare che la carota della causa “stia tranquillo, vedrà che vinceremo, e non le costerà nulla perché mi accontento di una piccola percentuale su quanto lei incasserà come risarcimento”, non esiste più.
Un sogno? Per le persone oneste sicuramente no.