(Di Gianni Schicchi) La presenza di un nuovo compositore al Ristori fa sempre un certo effetto sul pubblico. Anche quella di Gabriel Prokofiev, nipote del grande Sergei Prokofiev, (parliamo del concerto de I Virtuosi Italiani di giovedì 20) non ha mancato di destare un certa curiosità e l’attento ascolto della sua ultima produzione: il Dante Concerto per flauto e orchestra d’archi.
Abolita l’introduzione della musica elettronica, come era stato paventato nella presentazione del pezzo, il suo linguaggio musicale cerca di contemperare la necessità di superare certi schemi con l’esigenza di proporre all’ascoltatore un messaggio sonoro comprensibile. La parte più impegnativa è comunque quella affidata ai mezzi strumentali, del flauto solista in prevalenza, dalla forte comunicativa, dall’indubbia originalità, che propone sonorità di un certo fascino. Nei cinque temi del pezzo intitolato al sommo poeta italiano: “Nel mezzo del cammin di nostra vita, Dante di fronte al verde prato del limbo, Infernal images, Danza dei diavoli, Riveder le stelle, Beatrice”, la musica di Prokofiev è sempre attestata su basi tonali o politonali. I binari della sua esperienza si snodano paralleli a quelli dei musicisti mitteleuropei e pur risentendo di tutti gli stimoli modernistici, e aprendosi qualvolta all’avanguardia internazionale, non si incrociano mai con essi. Di assoluto rilievo, gli ultimi due tempi, dove l’autore propone con successo una certa concentrazione lirica, una cantabilità nobile e soffusa. Molti gli applausi del pubblico al suo apparire sul palcoscenico, sollecitato dal solista al flauto Massimo Mercelli, dal direttore Aldo Sisillo e da tutta l’orchestra.
Il complesso concerto proposto da I Virtuosi Italiani (tre brani contemporanei su quattro in programma) si apriva addirittura con una prima assoluta del bolognese Claudio Scannavini “Infiniti Diversi”. Pezzo molto delicato, di musica spesso soffusa, che intende riproporre l’attenzione del musicista allo studio dei fenomeni percettivi, adombrato continuamente da elementi cromatici. In definitiva, un ricorso alla spazializzazione del suono e un tentativo di fornire dei flash sulla ricchissima realtà musicale attuale.
In programma c’era anche il Concerto per flauto n. 2 di Michael Nyman, terminato di scrivere nel maggio di quattro anni fa. Un musicista campione del minimalismo e ideatore d’indimenticabili colonne sonore – vedi il soundtrack di Lezioni di piano e le collaborazioni con Greenaway. Il compositore londinese ha progettato il suo nuovo lavoro per esaltare il suono lirico del flautista Massimo Mercelli (a cui è dedicato il brano) in un’atmosfera meditativa che si snoda lungo cinque cambiamenti di tempo. Mercelli è un flautista sempre attento ai nuovi messaggi che giungono dalla contemporaneità e sono in molti compositori a dedicargli i loro nuovi lavori. Quello di Nyman è uno degli ultimi, dove il solista ha usato al meglio il suo “mestiere”, da esperto ormai consumato strumentista, avvezzo a tutte le battaglie, spesso facendo ricorso anche un secondo strumento: il flauto a testa ricurva, dal suono più profondo.
A conclusione di serata I Virtuosi Italiani hanno affrontato anche la Serenata in mi maggiore di Dvorak, creata quasi di getto e costituita da cinque brevi movimenti, secondo lo schema classico in forma di Suite. Un lavoro ricco di melodia di cui l’orchestra veronese ne ha disegnato l‘intensa suggestione armonica e timbrica, esaltandone poi il diffuso sentimento ispirato dall’elemento popolare boemo. La direzione di Aldo Sisillo è molto attenta e scrupolosa a suggello di una serata intensa (erroneamente ignorata dal grande pubblico), che sarebbe stata di forte stimolo per molti. Bissato il valzer della Serenata.