(Di Gianni Schicchi) Forse è la prima volta che al Filarmonico si sia potuto ascoltare un concerto interamente imperniato sul nome di Richard Strauss (da non confondere con la famiglia austriaca dei celebri valzer). Autore, come ben si sa, in possesso di un cromatismo ereditato da Wagner, non condotto alle estreme conseguenze, ma tenuto prudentemente al di qua del salto atonale. Tuttavia lussureggiante, sensuale, imprevedibile nelle singole soluzioni, il cui virtuosismo diventa un modo per camuffare, sotto la vernice modernista, un obiettivo di conservazione, se non addirittura di ristabilimento.

La musica di Strauss, anche quella della prima maturità, come viene proposta al Filarmonico – di gran lunga la migliore nel suo lasciare avvertire l’anelito ad ampliare il campo delle possibilità armoniche e strumentali – richiede sempre un dispiegamento enorme di strumenti. E difatti per eseguire un programma che prevedeva: il Macbeth op. 23 (primo vero poema sinfonico di Strauss), la scena d’amore dal Feuersnot op. 50 (seconda opera in un atto del musicista) e la Suite dal Cavaliere della rosa op. 59, non si è badato “a spese”, nel senso che l’organico orchestrale della Fondazione Arena è finito con avere in palcoscenico fino a 85 elementi. Già col Macbeth si sono contati ben 3 flauti, 3 oboi, 3 clarinetti, un corno di bassetto, 3 fagotti, 1 corno inglese, un clarinetto basso, un controfagotto, 3 trombe e tromboni, tuba e due arpe, con raddoppi nelle percussioni e 50 archi. Insomma un grande organico, impegnatissimo e stimolato da un programma insidioso, che non si affronta tutti i giorni.   

A dirigerlo è stato chiamato un giovane direttore emergente, già assistente a Birmingham, come lo spagnolo Jaume Santonja. Una scelta, lo confessiamo pienamente, su sui eravamo abbastanza prevenuti, date alcune sue estrazioni musicali (le percussioni), che abbiamo giudicato quantomeno inadeguate per un compito così ambizioso.

Santonja si è mostrato invece un direttore dalle risorse tecniche straordinarie, che conosce a menadito le partiture affrontate, capace di assicurare la bellezza del suono, la varietà dei colori, l’ampiezza del ventaglio dinamico richiesti da Strauss. Il virtuosismo del giovane direttore, la sua cura dei particolari, insieme alla spettacolarità delle riprese (vedi il Cavaliere della rosa) hanno concorso a rendere avvincente il concerto, che proprio con le sue due Suite ha raggiunto l’apice della spettacolarità. Le ventate dei walzer della celebre partitura hanno percorso tutto il Filarmonico dipingendone l’aria di un colore splendido e anacronistico, fascinoso e perentorio, scatenando un tripudio di applausi, che hanno costretto il direttore in proscenio per ben cinque volte. Uno Strauss insomma modernamente interpretato, agile, contraddistinto da una tensione e una lucidità tecnica che non hanno mancato di rivelare la bravura di Santonja. Orchestra areniana, in serata di grazia. Avanti così.