Le reazioni avverse ai farmaci rappresentano il rovescio della medaglia della loro efficacia. Sovente i lunghi elenchi dei ‘bugiardini’ rappresentano un ostacolo alla normale gestione delle terapie. In realtà il problema è significativo se si pensa che globalmente le reazioni avverse ai farmaci riguardano il 15-25% dei pazienti. Fra queste una su dieci è di natura allergica. Diversamente dagli effetti collaterali, che sono per certi aspetti prevedibili in rapporto al dosaggio e al meccanismo d’azione della molecola, le reazioni allergiche sono imprevedibili, legate alla reattività immunologica del singolo individuo e per questo per certi aspetti più problematiche. Il Congresso dell’Accademia Europea di Allergologia e Immunologia Clinica che si è tenuto a Verona dal 27 al 29 Aprile, organizzato dall’Unità Operativa di Allergologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona e dall’Accademia stessa è stato un momento essenziale di confronto e progresso in questa importante tematica.
Va prima di tutto segnalato come i farmaci più sovente coinvolti siano gli antibiotici (penicilline su tutti) e gli anti-infiammatori non steroidei, farmaci di uso estremamente frequente. Le manifestazioni cliniche vanno da forme abbastanza lievi di eritema cutaneo o orticaria a quadri gravissimi, potenzialmente letali come l’anafilassi o la sindrome di Steven- Johnson. Va poi sottolineato come la frequenza delle reazioni allergiche a farmaci sia più maggiore, anche di 10 volte, in ambiente ospedaliero, forse per un loro uso più intensivo. In quest’ambito reazioni allergiche a farmaci si verificano in sala operatoria, nei confronti degli anestetici generali (in particolare i miorilassanti) o durante indagini diagnostiche che utilizzino i mezzi di contrasto.
Da questo impatto clinico nasce la necessità di una diagnosi, volta a confermare o a identificare il farmaco responsabile, sia ad individuare valide alternative in caso di necessità. Questo iter diagnostico è generalmente abbastanza complesso e va effettuato in tempi abbastanza ravvicinati alla reazione, non oltre i due anni, per evitare che perda la sua validità.
La mancanza di una diagnosi sicura porta inoltre ad un uso di antibiotici non sufficientemente efficaci e può anche favorire un problema molto attuale come la comparsa di resistenze batteriche, più volte denunciato a livello mondiale.
Nel corso del convegno è stata sottolineata la necessità di un approccio multidisciplinare al problema e sono stati focalizzati importanti progressi in ambito diagnostico e sperimentale come nel caso della farmaco-genetica. Un aspetto, forse oggi meno di attualità, ma comunque molto rilevante, è il profondo ridimensionamento delle reazioni allergiche al vaccino per il Covid19 e ai vaccini in genere.
Questi i temi dibattuti fra gli oltre 600 esperti provenienti da tutto il mondo. Ovviamente il timore di reazioni allergiche non può essere un ostacolo all’uso corretto di farmaci, ma una puntualizzazione diagnostica che veda anche il coinvolgimento del medico di famiglia è assolutamente necessaria per una razionalizzazione della terapia. In realtà la tematica non è molto nota nel mondo medico e congressi come questi sono necessari per una migliore conoscenza e una più rapida identificazione di queste reazioni.
A conclusione dei lavori del Congresso Gian Enrico Senna, direttore della clinica di Allergologia dell’Università di Verona ha detto a L’Adige: «Le reazioni allergiche a farmaci, pur più rare degli effetti collaterali, hanno notevole importanza perché imprevedibili e legate ad una reattività individuale. È pertanto necessario identificarle confermandone la diagnosi che, aspetto importante, deve essere effettuata in tempi rapidi (entro 2 anni) per poter essere attendibile».