(Di Gianni Schicchi) C’era più di un motivo per assistere alla terza recita de Il Barbiere di Siviglia, in Arena. La curiosità riguardava il debutto stagionale di Nicola Alaimo, sicuramente uno dei più acclamati Figaro oggi al mondo e il ritorno sulla scena areniana di Alessandro Corbelli, a quasi trent’anni dal suo debutto con La Bohème del 994, a fianco di Cecilia Gasdia. Il celebre baritono torinese (da quarant’anni cittadino veronese) festeggia così il suo 50° anniversario col teatro operistico, a conclusione di una carriera fra le più fulgide in campo internazionale. Averlo convocato per la parte di Don Bartolo è un lodevole riconoscimento dei suoi alti meriti artistici. La terza recita è servita inoltre per confermare la indubbie qualità direttoriali del giovane veronese Alessandro Bonato, musicista raffinato e intelligente che sta macinando successi a vista d’occhio con i più grandi complessi orchestrali di tutta l’Europa.
Il numeroso e festante pubblico di giovedì sera, 12 luglio, ha potuto così applaudire una recita di eccezionale qualità e confermare la felice messinscena pensata da Hugo De Ana col suo giardino labirinto. Un giardino dell’amore, ricco di verde e grandi roseti, ma anche di molta poesia, dove succedono tutti gli elementi narrati dal libretto. Un luogo degli intrighi e della commedia degli equivoci, sullo sfondo di una Siviglia fatta di atmosfere e di profumi, senza riferimenti temporali precisi, situata su di uno spazio mobile che assume posizioni diverse rispetto all’azione drammatica. Uno spettacolo anche con le sue gags un po’ sofisticate, ma non pacchiane.
La regia di De Ana è comunque andata ad individuare quegli elementi spettacolari che sono propri del teatro all’aperto, cercando di dilatare alcune situazioni con movimenti che si contraddistinguono come astrazioni, in un articolato movimento mimico e coreografico. Tutti i personaggi in scena, non solo i mimi e i ballerini, ma anche i coristi e i cantanti protagonisti della storia, sono infatti chiamati a partecipare ad una specie di grande gioco scenico, dove l’elemento ludico, il divertissement, la gioia di sorridere, hanno ampio spazio con l’eleganza propria della musica rossiniana e attraverso una gestualità plateale che lo stesso spazio areniano esige.
Quello che ancora stupisce di quest’opera – continueresti ad ascoltarla senza mai annoiarti – è la sua nascita e la sua collocazione in un momento storico-culturale casuale e come abbia saputo attraversare la storia per diventare uno dei primi capolavori entrati in un repertorio eseguito poi in tutto il mondo. Forse per la forza che sprigiona, per una facile e franca spontaneità di vena, della più pura sincerità di sentimento, di ispirazione, nonché fedele interpretazione dell’anima nazionale italiana.
Erano alla loro ultima recita, la Rosina della ventinovenne siberiana Vasilisa Berzhanskaya e il Conte di Almaviva di Antonino Siragusa. Lei (finalmente un mezzosoprano come voleva Rossini) è dotata di un timbro spettacolare che sa appoggiare i suoni gravi su un terreno fertile e maturo, districandosi ottimamente nei concertasti e cantando con la levità dovuta per esprimere sensualità e carisma. Antonino Siragusa è artista avvezzo ad ogni battaglia, già e più volte nella parte anche in Arena. Il suo Conte d’Almaviva è quello che ti aspetti, con la voce aggraziata e la figura un po’rarefatta che Rossini gli assegna. Va veloce e punteggia ogni nota comportandosi come un Conte ben rifinito. A suo merito – e non è da poco – aver affrontato con bravura anche la difficilissima aria finale “Cessa di più resistere” che non tutti i tenori eseguono.
Il protagonista, Nicola Alaimo, è un Figaro poi che non si risparmia mai, dominando la scena come il più dotato attore che si conosca. Ể un po’ gigione, quando allarga e restringe le sue cadenze, ma lo fa consapevolmente, in pieno controllo vocale e musicale. Un Figaro gradasso, scroccone e negoziatore impavido, che sta tra la commedia ironica e quella dell’arte. Affronta il ruolo senza dare impressione di alcuna fatica, cantando arie e recitativi con assoluta naturalezza. Splendida la sua Cavatina del primo atto, applaudita a lungo dal pubblico, insomma un interprete ineccepibile su tutta la linea di canto.
Alessandro Corbelli è un Don Bartolo autorevole e divertentissimo, con le caricature che gli competono, in grado di interpretare le doppiezze del personaggio. La voce corre ancora benissimo ed ogni parola è comprensibilissima. A settant’anni quasi un exploit che ha del miracoloso, frutto evidente di un mestiere da consumato e autentico professionista. Non gli è da meno il Don Basilio di Michele Pertusi, credibilissimo con una voce ben timbrata ed elegante. Contribuiscono al successo della serata: Marianna Mappa (Berta), Nicolò Ceriani nel doppio ruolo di Fiorello/Ambrogio e Lorenzo Cescotti (un ufficiale). La rappresentazione gode di una prestazione musicale di assoluto rilievo che ti fa pensare di non aver finora mai ascoltato il Barbiere, tanti sono i particolari agogici e dinamici che ci offre la direzione equilibrata di Alessandro Bonato alla guida di un’orchestra areniana in stato di grazia. Della compagnia c’è anche il maestro al clavicembalo con l’autorevole presenza di Richard Barker e alla direzione del coro il grande Roberto Gabbiani. Coordinatore del ballo è Gaetano Petrosino, al continuo, il violoncello di Sara Airoldi e il contrabbasso di Riccardo Mazzoni.