Lo studio di Lilianne Mujica-Parodi della Stony Brook University di New York è arrivato alla conclusione che chi ha il diabete rischia un declino cognitivo maggiore rispetto ai coetanei sani.
In Italia ci sono 3,5 milioni di diabetici, il 5,9% della popolazione. Percentuale che sale al 21% negli over 75. E’ quindi una malattia di massa che riveste perciò un aperto sociale da non sottovalutare e un interesse decisamente ampio.
Lo studio ha esaminato 1000 pazienti con diabete e 19 mila coetanei simili per caratteristiche socio-demografiche, ma senza diabete. Ai test cognitivi cui sono stati sottoposti i diabetici hanno avuto risultati inferiori ai controlli sani dell’8/13%. C’è poi anche un riscontro anatomico: il cervello dei diabetici rispetto ai coetanei tende a rimpicciolirsi proporzionalmente al tempo in cui soffrono della malattia. Il motivo è che l’iperglicemia danneggia i neuroni e riduce la micro-circolazione accelerando il fisiologico declino cognitivo.
Questi dati dovrebbero indurre tutti quelli che hanno il diabete a condurre una vita più sana, aumentando l’attività fisica e facendo attenzione ad una dieta con meno carboidrati. Uno dei problemi del diabete di tipo B, cioè quello cosiddetto senile in quanto insorge nella seconda metà della vita, è che se uno non si misura la glicemia non se ne accorge. Ed anche quando se n’è accorto ed è stato messo sull’avviso circa quello che deve e non deve fare e sui farmaci da assumere, stenta a cambiare abitudini poiché non ha sintomi particolare o disturbi. Questo aspetto della malattia è particolarmente pericoloso perché porta allo scompenso, che è proprio quella situazione che conduce al declino cognitivo messo in luce dai ricercatori americani.