A risultato oramai definitivo, proviamo a “giocare” un po’ coi numeri e vediamo chi ha guadagnato maggiormente da questa tornata elettorale fra i partiti politici. Usiamo i dati del collegio proporzionale della Camera, più vicino a quello delle Comunali, e i dati riguardano tutti i 265 seggi che compongono il perimetro elettorale scaligero. Partiamo dal numero complessivo dei votanti: le elezioni politiche registrano maggiore interesse delle Comunali: ieri si sono presentati al voto 134.005 veronesi contro i 111.771 del primo turno del 12 giugno scorso e i 114mila del 2017. 23mila elettori in più che hanno cambiato la geografia politica della città. Se guardiamo, invece, alle Politiche del 2018 all’appello mancano 4mila500 elettori, l’1,85% in meno. Tutto sommato, poteva andare peggio. Analizziamo questa scheda:
Fratelli d’Italia in cinque anni passa a Verona da poco più di 4mila preferenze a quasi 36mila e in soli 90 giorni, da giugno a settembre, cresce di oltre 23mila preferenze riprendendosi completamente gli elettori che nel 2020 avevano votato direttamente Zaia senza passare dal proprio partito di riferimento.
Può trovare una ragione di consolazione la Lega a Verona: siamo lontani dal risultato delle precedenti Politiche e delle Regionali 2020, ma in tre mesi è riuscita a raddoppiare praticamente i voti cancellando il minimo storico delle Comunali – appena 6.786 voti.
Forza Italia cresce fortemente rispetto alle Comunali – dove come lista aveva incassato appena 4.464 voti – , ma non torna al livello delle politiche 2018: all’appello manca quasi il 30% dei consensi e il salasso è compensato dalla presenza in lista di Flavio Tosi che, però, non porta tutta la sua dote del primo turno delle ultime Comunali, ben 24.197 voti.
Nonostante gli investimenti di Luigi Brugnaro, la gamba moderata del centrodestra registra un clamoroso passo falso: nel rassemblement oggi guidato da Giorgia Meloni, crolla di 5mila voti. All’appello mancano, probabilmente, i voti di VeronaDomani – tornati in Fratelli d’Italia – nonostante la presenza in lista di Giuliano Occhipinti e Mattia Galbero. Per il sindaco di Venezia, il risultato è deludente se questa campagna doveva fungere da promo per la sua candidatura in Regione Veneto per il dopo-Zaia: appena il 2% dei consensi totali, 50mila voti alla Camera ed al Senato in tutte le province venete.
Carlo Calenda conferma che piace nel Nord produttivo e dopo aver fatto il pieno di voti – come candidato nelle liste del PD – alle Europee, a Verona diventa il terzo partito con oltre 13mila voti. Funziona come politico – ben oltre l’interesse suscitato dai suoi rappresentanti locali alle ultime Comunali dove le due anime del suo terzo polo erano schierate al primo turno su due lati opposti della barricata. Diciamo che oggi Calenda, al Nord, ha una buona base di partenza.
CinqueStelle: un partito “sudista” che a Verona comunque intercetta oltre 8mila voti. In quattro anni ha perso tre quarti dei suoi elettori in città e dimostra come, alla fin fine, sciogliersi nel blocco Tommasi non sia stata una gran scelta. I numeri probabilmente c’erano per fare qualcosa di più.
Infine, il PD. 26mila voti, un elettore su cinque. Si riprende i voti dati a Tommasi e quasi raggiunge il risultato delle politiche 2018. In mezzo c’è il flop delle Regionali – lì era evidente il problema del candidato presidente – e si conferma il secondo partito in città. Ma resta, a Verona come a Roma, il problema dei compagni di viaggio: da solo non è vincente, e non trova partner per un cartello vincente. Certo, a Verona non è facile battere il centrodestra ma è chiaro che il “modello Tommasi” a Roma non è stato nemmeno preso in considerazione. E, a questo punto, bene a fatto il sindaco ad impegnarsi il meno possibile per questa campagna…