C’è già una profonda divisione d’opinione fra il responsabile della sanità di FdI e l’impostazione data alla riforma della sanità territoriale in corso che, a dire il vero, non è proprio un’idea del governo o di Speranza, ma il risultato di un’elaborazione fatta con la Conferenza delle Regioni.
Ma a Marcello Gemmato, deputato farmacista che segue la sanità per conto della Meloni, non piace l’idea delle Case di Comunità, che sono il nucleo centrale della nuova struttura territoriale del SSN. In esse dovrebbero confluire i medici di base ora sparsi sul territorio e sarebbero coadiuvati da personale infermieristico e amministrativo per permettere loro di svolgere il loro lavoro senza altre incombenze burocratiche. In più, secondo la riforma, le Case di Comunità, dovrebbero anche essere attrezzate con un minimo di apparecchiature diagnostiche atte a sollevare gli Ospedali di tanti accessi impropri.
Invece il responsabile della sanità di FdI Gemmato vorrebbe continuare con l’attuale assetto dei medici di famiglia, magari attrezzando loro e le farmacie di strumenti diagnostici.
La sua contrarietà è anche motivata dal fatto che nella riforma ogni Casa di Comunità dovrebbe essere il riferimento di 50 mila utenti di norma e di 4 mila per le aree rurali o montane. Il che costringerebbe a degli spostamenti anche lunghi gli utenti mentre l’assetto attuale, con il coinvolgimento delle farmacie, garantirebbe una distribuzione più capillare.
In sostanza l’idea di FdI manterrebbe la situazione attuale, con qualche modifica, come l’inserimento di una diagnostica minimale negli ambulatori individuali. Cosa che pare difficilmente praticabile. Non tutti i medici di base sono in grado di fare un’ecografia o un esame di laboratorio. E poi, se già adesso sono impediti nella loro attività da tutta una serie di adempimenti burocratici, dove lo troverebbero il tempo per fare anche la diagnostica? Il che annullerebbe uni dei principali effetti della riforma che è quello di scaricare gli ospedali dei codici bianchi e verdi.