Da un trentina d’anni gli impianti dentali sono entrati nella pratica clinica dell’odontoiatria per sostituire i denti persi. Hanno rappresentato un importante passo avanti per la possibilità di allestire delle protesi fisse, anche nelle persone endentule, evitando il fastidio sia psicologico che materiale di avere sempre in bocca una protesi rimovibile. Si calcola che oggi ogni hanno vengano inseriti nelle poche degli italiani circa 2 milioni di impianti.
Ma come tutte le realizzazioni dell’uomo anche gli impianti hanno un limite: nel tempo è possibile che perdano la tenuta nell’osso per l’infiltrazione da parte di batteri che vivono normalmente nel cavo orale, che possono causare una mucosite, ovvero un’informazione della mucosa circostante il manufatto protesico e poi, più grave, la perimplantite, un’infezione che corre nell’interfaccia impianto/osso che arriva a comprometterne la tenuta.
Grazie alla ricerca oggi è stato studiato un test che prelevando con un semplice tampone la placca batterica circostante l’impianto permette di prevedere il rischio della perimplantite. Di questo s’è discusso a Roma al Congresso Internazionale Osteology-SIdP, organizzato dalla Società Italiana di Parodontologia e Implantologia e dalla Fondazione Osteology.
Il test permetterebbe al dentista di valutare, una volta inserito l’impianto e dopo alcuni mesi dalla sua integrazione nell’osso mandibolare o mascellare, la presenza di quei batteri implicati nelle mucosità e nelle perimplantiti, così da poter programmare una cura mirata con gli antibiotici più efficaci.
Uno studio italiano del’Università di Trento e coordinato da Cristano Tomasi dell’Università di Goteborg, pubblicato da una rivista scientifica edita da Nature, ha individuato oltre 60 batteri sconosciuti all’origine della mucosite e della perimplantite.