(di Giorgio Massignan) In questi ultimi anni, alcuni istituti di credito e assicurativi, che avevano permesso a Verona di incrementare o iniziare il proprio sviluppo economico sia nel settore agricolo che in quello industriale, sono stati inglobati in gruppi bancari più grandi o addirittura venduti.
La Cassa di Risparmio, la Banca Mutua Popolare e La Cattolica Assicurazioni, con queste operazioni hanno perduto la loro tipicità locale, per assumere un ruolo molto diverso.
Indubbiamente la società e il mercato finanziario, dai primi anni del 1900 ad oggi, sono radicalmente cambiati; mi chiedo se il loro nuovo ruolo stia favorendo i cittadini e le attività produttive che creano posti di lavoro, o soprattutto le speculazioni finanziarie.
La storia dell’economia della nostra città si basa sulla storia degli istituti finanziari veronesi.
Sino al 1866, la struttura economica locale era stata frenata dalla politica finanziaria-fiscale austriaca, che di fatto aveva impedito la nascita e la crescita del sistema bancario.
Con l’annessione di Verona al Regno d’Italia, si modificarono le condizioni finanziarie e creditizie, permettendo così l’apertura dei primi istituti di credito. Il primo luglio del 1867, aprì:
-la Banca del Popolo, collegata e strettamente subordinata alla Banca del Popolo di Firenze; aveva la sede nel palazzo Erbisti, in via Leoncino. Fungeva d’appoggio creditizio per le più importanti famiglie nobili e borghesi della città.
-La Banca Mutua Popolare di Verona; fondata su promozione dei principali rappresentanti della borghesia e dell’aristocrazia veronese, tra questi: Fortunato Bevilacqua; Stefano de’ Stefani; Angelo Messedaglia; Francesco Luigi Gemma; Giulio Camuzzoni; Pietro Montagna; Traiano Vicentini; Giuseppe Scrinzi e Alessandro Sagramoso.
Sostenuta dalla Camera di Commercio, aveva il compito di aiutare i piccoli commercianti, i piccoli artigiani, i piccoli industriali ed i piccoli possidenti agricoli.
A differenza della Banca del Popolo, che operava indifferentemente con i soci e con i non soci, la Banca Mutua Popolare di Verona, per statuto, poteva operare solo con i propri soci, per soddisfare il principio della mutualità e della cooperazione e per scoraggiare le operazioni speculative.
Sottoscrissero 286 soci, per un totale di 641 azioni del valore nominale di 50 lire, per un totale di 32.050 lire, su un capitale sociale di 37.500.
La sede era in via Sant’Eufemia, presso casa Avesani.
Altri tre istituti di credito aprirono tra il 1871 e il 1873: la Banca commerciale di Verona;
la Banca per l’industria e il commercio; la Banca di Verona. Nessuno dei tre riuscì a superare la dura crisi che caratterizzò l’ultimo decennio dell’Ottocento.
Nel 1892, la Civica Cassa di Risparmio, nata nel 1825, dal podestà su ispirazione del Governo austriaco come ausilio al Monte di Pietà, fondato nel 1490, in applicazione della legge n.5544/1888, divenne autonoma, con un’amministrazione propria ed un patrimonio di cinque milioni di lire, che la portò al secondo posto tra gli istituti di credito nazionali.
Nel 1895, l’area cattolica, rappresentata da Teodoro Ravignani e Ottavio Canossa, fondò la Banca Cattolica Veronese.
Nel 1896, 34 soci e 36 azionisti di diverse regioni del centro nord, fondarono la società Cattolica di Assicurazione, per assicurare i rischi legati all’attività agricola, come la grandine e gli incendi, gli eventi più temuti dai contadini e dai veronesi.
Ne furono promotori soprattutto gli esponenti della cooperazione cattolica veronese, veneta e lombarda. Venivano emesse azioni di valore molto basso per favorire l’adesione di molti soci, anche di ceto popolare.
La Società Cattolica si prefiggeva lo scopo di destinare parte degli utili in opere con finalità sociali. La compagnia si consolidò e si rafforzò grazie all’appoggio deciso del settore del lavoro agricolo e del mondo cattolico.
Altri tempi, altra economia, altre banche.