(p.d.) Le immagini dei profughi in Ucraina e in Polonia ci dicono qualcosa di più della tragedia della guerra.
Avete visto quanti bambini? Piccoli, grandi, appena nati, in braccio o a manina con le loro mamme. Non siamo abituati a vederne così tanti. Qui da noi, quando per strada passa una donna incinta o qualche passeggino con su un bimbo, ci facciamo caso. Sono ormai una rarità. Non nasce quasi più nessuno. Siamo un paese vecchio che invecchia. Eppure, a confronto con l’Ucraina, non è che qui le condizioni siano peggiori per chi vuol mettere al mondo un figlio. Anzi. E non c’entra la guerra. Quella è arrivata dopo, quando i bambini che vediamo erano già nati. In Ucraina se la passano sicuramente peggio che in Italia. Ma fanno figli. Belli, robusti, sani. E garantiscono così un futuro al loro popolo. Alla faccia perfino delle bombe. Noi no. Noi abbiamo molte più possibilità economiche, ma il nostro egoismo ci ha isterilito. Senza figli, con pochi giovani, diventiamo sempre più un popolo debole. Con tutto quel che ne consegue. Che tristezza. Che miseria. Che vergogna rinunciare a dare un futuro alla propria nazione.
C’è anche un’altra immagine che arriva quotidianamente da quelle parti e che induce al confronto. E anche qui ne usciamo male, noi che crediamo di vivere nel paese più bello del mondo. Sarà bella la natura, di cui non abbiamo merito. Ma avete visto le stazioni ferroviarie da dove partono o arrivano i profughi? Sono bellissime, eleganti, pulite nonostante il sovraffollamento e l’emergenza. Avete presente le nostre? Fanno schifo. A cominciare da quella di Verona. Il che per una città turistica costituisce un pessimo biglietto da visita. Lo squallore e la sciatteria delle nostre stazioni in confronto alla bellezza delle stazioni polacche e ucraine confermano la decadenza dell’Italia. Che vergogna.