Ghelo o no ghelo? La domanda ha contrassegnato tanti mesi passati ed era riferita a Damiano Tommasi di cui si preannunciava la candidatura senza mai che il diretto interessato ne parlasse chiaramente. Poi la candidatura è arrivata, ma il candidato sindaco del centrosinistra non ha smesso i toni felpati, non urlati. Anche oggi, nelle conferenze stampa, il tono è sempre un’ottava sotto. Ma in una competizione che sta alzando velocemente i decibel, Tommasi ha deciso di uscire dalla confort-zone e di spiegare come affronterà questa campagna nelle prossime settimane. Lo ha fatto – qui il nostro video – inaugurando la sede del suo comitato elettorale «ho dovuto arrendermi – dice – al pensiero di vedere la mia faccia sui muri di Verona o tra le mani della gente: sarà con parsimonia e, spero, senza disturbare molto».
«Lo so che il mio approccio è atipico – spiega Tommasi – la gente, i media, si aspettano slogan, progetti, promesse. Ma io non sono fatto così; io debbo capire prima, debbo entrare nei problemi, debbo poter parlare con le persone. Questo è stato il mio modo di fare all’avvio di questa avventura: era più importante creare la squadra, fare lavorare le persone insieme, preparare un programma coinvolgendo esperti che stanno già facendo le cose che noi presentiamo. E oggi, non saprei dirvi chi era in tensione con chi nella nostra coalizione qualche mese fa, non vedo ruggini, non vedo divisioni: vedo una squadra. Non vi dico oggi uno slogan, vi dico due parole che sono le mie linea guida: la prima, responsabilità. Non ho mai pensato che per affrontare o risolvere un problema bastasse girare un interruttore. Abbiamo, ho, l’obbligo di prepararmi adeguatamente a questa sfida e ho iniziato questo progetto con lo stesso spirito di un atleta che si prepara pe le Olimpiadi, pianificando già quattro anni prima cosa farà, come si organizzerà, come si gestirà. La seconda parola, credibilità. Non mi sentirete annunciare opere faraoniche, lanciarmi in promesse. La situazione attuale impone moderazione e riflessione. Questo faccio e farò. Sono rimasto stupito dalle domande giunte nel primo confronto pubblico coi due candidati sindaci: ci è stato chiesto l’impegno scritto a presentarsi in Circoscrizione almeno una volta all’anno. Una volta all’anno? se questa è la richiesta vuol dire che quella circoscrizione ha visto i sindaci soltanto in campagna elettorale e poi è stata bellamente trascurata. Non è il mio modello di governo, non intendo fare così, non mi comporterò così. Lo so che la campagna si gioca sulle emozioni, sullo slogan più efficace negli ultimi due giorni prima del voto. Ma non serve a nulla se poi lo slogan non si tramuta in fatti concreti. Io racconterò soltanto di cose fattibili, ascolterò le persone, imparerò dalle eccellenze, parlerò di futuro. Lascerò che del passato parlino gli altri».
Flavio Tosi e Federico Sboarina le contestano l’inesperienza amministrativa… «Sì, l’ho so. Ma se uno facesse soltanto quello che già sa fare il mondo non sarebbe mai andato avanti e, in ogni modo, sempre il candidato “fuori dal coro” viene tacciato della medesima carenza. E’ stato così per Giorgio Gori a Bergamo, un “inesperto” che però ha gestito benissimo la pandemia e col quale mi sono confrontato già mesi fa. E da cui ho tratto profondi insegnamenti. Ad esempio, Bergamo ha scoperto in pandemia che il 10% dei suoi abitanti (una città molto simile a Verona) viveva da solo. Io non voglio scoprirlo dopo, voglio saperlo subito ed agire subito. E comunque, Tosi e Sboarina non sono i miei avversari: il nemico da battere è l’astensionismo, la delusione degli elettori. Dobbiamo vincere in quel campo, riportare la gente al voto, all’impegno civico. Perchè i risultati di un’amministrazione non sono soltanto merito di un sindaco, ma dell’intera sua comunità».
Il clima elettorale riporta il tema sicurezza coi toni di quindici anni fa. La sua risposta al riguardo (comprendere di più le ragioni dei giovani) non è un po’ troppo “molle” al riguardo?
«Sono deluso e preoccupato dall’approccio degli altri candidati. Pensare al solo inasprimento delle pene, davanti a fenomeni circoscritti e specifici, che segnalano un disagio, è inutile, non risolve il problema. La sicurezza non è chiudere la porta con doppia mandata. A Verona manca completamente la rete di controllo: lo so da genitore. I dirigenti scolastici non seguono i ragazzi, non li osservano dentro e appena fuori le scuole. Non li ascoltano, non parlano con loro, non li seguono. Ci sono genitori che scoprono di avere figli con gravi problematicità soltanto all’arrivo dei carabinieri. Non hanno mai ricevuta alcun segnale, alcun avviso che ci sono dei problemi. Ecco, su questo va cambiato totalmente registro. E non servono le parole roboanti, ma un quotidiano lavoro. Che non c’è stato sinora».