(di Carlo Rossi) Negli USA il PIL si contrae nel primo trimestre 2022, in larga parte per la crescita delle importazioni ed il fisiologico calo delle scorte. Tengono consumi e investimenti privati. In Germania nuovo record per l’inflazione ad aprile. Ma non ci sono soltanto le stime economiche. A far traballare gli USA in questo inizio anno ci sono anche alcune questioni politiche diventate spinose per la Casa Bianca. Joe Biden non riesce a sbloccare il via libera al grande progetto di riforme Build Back Better, osteggiato anche tra i Dem per la mole di investimenti. Inoltre, la Corte Suprema ha bocciato l’obbligo vaccinale che il presidente voleva imporre ad alcuni lavoratori. In più, c’è la grana della Russia e di una minaccia di guerra, mentre il problema dei prezzi alle stelle sta mettendo a dura prova il presidente.
Già qualche settimane fa Biden aveva sfidato l’OPEC affinché liberasse più petrolio per abbassare i prezzi energetici. I dati sono elaborati da Bloomberg: le aspettative di crescita del PIL per il periodo gennaio-marzo sono scese al 3%, dal 3,9% della precedente rilevazione mensile. La nuova ondata pandemica ha sconvolto i viaggi e contribuito a svuotare gli scaffali dei supermercati in alcune aree, poiché i lavoratori sono sempre più fermati dai contagi. L’ultima interruzione dovuta al Covid arriva anche mentre la spinta degli aiuti governativi sta svanendo.
“Lo slancio della crescita sembra essere in fase di stallo”, hanno scritto Aneta Markowska e Thomas Simons di Jefferies, casa di brokeraggio indipendente, in un rapporto questa settimana, prevedendo un’espansione dell’1,5% nel primo trimestre. Tra gli altri indicatori, ci sono un forte calo dell’occupazione negli uffici che ha invertito quasi tutta la spinta al ritorno al lavoro dell’anno scorso e “creerà effetti a catena negativi nel breve termine man mano che la domanda di servizi subirà un duro colpo”. L’inflazione dovrebbe scendere al 2,6% nel 2022 e verso il 2% nel 2023, ma i rischi per il 2022 sono verso l’alto. Le politiche economiche sono ormai in fase di svolta, con il tapering in arrivo a novembre. La Fed si appresta a ridurre lo stimolo, non più appropriato in questa fase, ma non è detto che riesca a contenere l’inflazione. Il primo rialzo dei tassi aggressivo, forse troppo, del 2022 e lo stimolo fiscale in via di rientro, sono testimoni di come la politica fiscale, leva tradizionale che i Presidenti cercano di utilizzare per contenere gli effetti depressivi in vista del mid term, sia in una fase rischiosa, con scadenze ravvicinate per il rinnovo del limite del debito e due grandi pacchetti redistributivi.
Le tensioni fra partiti e all’interno del partito democratico sono alle stelle . Il timore oggi è che si sia alla vigilia di una fase di iperinflazione che possa sfuggire alle capacità dei Governi di controllare un atterraggio morbido e governato della crisi in atto e di controllare il trade off crescita inflazione. Un esercizio pericoloso. Se fallisse, senza l’utilizzo di strumenti dal lato della domanda, allora si che si aprirebbe una veloce fase di depressione economica dai contorni difficilmente immaginabili. Apparentemente, almeno in occidente, nessuno la vuole. Lo stesso Jerome Powell, presidente della FED, in tema di prezzi in aprile aveva affermato che: “l’inflazione potrebbe aver raggiunto il picco a marzo, ma non lo sappiamo” e che: “ la Fed non ci conta[…] Ci aspettavamo che l’inflazione avrebbe raggiunto il picco in questo periodo e sarebbe scesa nel corso del resto dell’anno e poi oltre[..]”.
Dichiarazioni dalle quale può trasparire non certo un fenomeno inflattivo fuori controllo, ma comunque difficile da arginare. Se la domanda pare ora la principale ‘responsabile’ d’inflazione, l’offerta non sembra risanata post pandemia . La Fed è chiamata a una partita difficile: imbrigliare l’inflazione senza far cadere gli Usa in recessione. Secondo gli esperti, però, la sua azione è partita in ritardo per un soft landing e, inoltre, l’obiettivo è reso oggi più arduo da una serie di fattori globali come la guerra e il commercio. Una lenta ripresa della crescita ci sarà “nel 2023 e nel 2024”, continua dal canto suo Goldman Sachs, con un balzo del 2,4% nel 2023 e del 3,4% nel 2024, quando la Russia terrà le prossime elezioni presidenziali e la politica fiscale sarà probabilmente favorevole alla crescita.
Nel frattempo Mid Term a novembre sarà decisivo per “Sleepy Joe”. Mai come in passato. Mentre i venti di recessione stanno aleggiando sempre più forti su entrambe le economie che si affacciano sull’Atlantico. In primis sull’anello debole del fronte Nato ed EU, l’Italia. Il Prodotto interno lordo statunitense è diminuito nel frattempo nel primo trimestre del 2022 più del previsto, a causa dei primi effetti della pandemia di coronavirus. La lettura preliminare del dato diffuso dal dipartimento al Commercio ha registrato un -1,4%, contro il +1% pronosticato dagli analisti. Nel quarto trimestre del 2021 il Pil era cresciuto al tasso annualizzato del 6,9%; mentre la crescita per il 2021 era stata del +5,7%, registrando l’anno migliore dal 1984.