(di Elisabetta Tosi) Il Recioto della Valpolicella e quello di Soave avranno presto un santo protettore tutto per loro, caso più unico che raro nel panorama enologico italiano e internazionale. Sarà Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore, prefetto del Pretorio tra il 5 e il 6 secolo d.C. alla corte del re ostrogoto Teodorico il Grande, grande cantore dei due noti vini dolci veronesi. L’annuncio è stato fatto a margine del convegno “Recioto, illustre antenato di un mondo di….vino” tenutosi in questi giorni presso la sede dell’Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere di Verona.
“Ho ricevuto dal postulatore per le cause dei santi presso la Santa Sede la notizia che la pratica per la canonizzazione di Cassiodoro è stata avviata” ha dichiarato il relatore del convegno Lorenzo Simeoni (secondo da destra, nella foto qui sotto), sommelier e studioso della storia dei vini veronesi; proprio nel 2017 aveva ricevuto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella la medaglia di Cavaliere dell’Ordine al Merito, per il suo impegno nella ricerca sulle origini della viticoltura e del recupero delle antiche tecniche di produzione del vino.
Dopo i saluti introduttivi del presidente emerito dell’Accademia, dell’Assessore del Comune di Verona Filippo Rando e di mons. Giuseppe Zenti vescovo di Verona, Simeoni ha tenuto un interessante excursus sulla storia e la fortuna nei secoli dei due Recioto veronesi, ribadendo come si tratti di due vini antichissimi, risalenti almeno a 2500 anni fa, la cui tecnica di produzione – l’appassimento in locali chiusi come i fruttai, piuttosto che su graticci all’aperto come accade ancora oggi in molte zone del Sud Italia – venne introdotta nientemeno che dai Reti, una popolazione di origine etrusca stanziatasi nelle valli veronesi prima dei Romani.
Il nome “Recioto”, ha detto Simeoni, è un termine dialettale abbastanza recente, di origine ancora dibattuta: l’ipotesi più probabile però è che derivi dal latino “racemus”, grappolino: “Dobbiamo tener presente che prima della fillossera i grappoli delle nostre uve erano molto più piccoli” ha spiegato Simeoni. I Reti infatti chiamavano il loro vino “retico”: furono poi i Romani a chiamarlo “acinatìcium”, acinatico, cioè “nato dalle uve”. Nel corso dei secoli, i due Recioto, sia il bianco che il rosso, furono sempre decantati da poeti come Catullo e Marziale prima, Berto Barbarani poi, da scienziati come Plinio il Vecchio, e geografi come Strabone. In tutta Italia e dintorni gli intellettuali di ogni epoca non trovavano vini che potessero stare alla pari con questi. E così, con l’eccezione del Medioevo, durante il quale non si sono trovate finora molte testimonianze scritte sul Recioto, la fortuna di questi vini è arrivata fino a noi, grazie anche al lavoro di traduzione della famosa e citatissima lettera di Cassiodoro del 533-535, fatto per la prima volta nel 18 secolo da Scipione Maffei.
Di questa lettera Simeoni ha presentato durante il convegno una traduzione aggiornata, ma la sostanza resta quella che i veronesi appassionati di vino conoscono da sempre: il Recioto della Valpolicella è descritto come “un vino puro, regale di colore, acceso di sapore, sicchè tu penseresti che la porpora sia tinta dalle sue fonti… “ e quello di Soave come un vino che “riluce in una lattea coppa… lì il biancore è di decorosa e serena purezza, così quello dalle rose, questo credesi esser nato dai gigli…”.
Quanto a Cassiodoro, terminato il suo impegno politico si ritirò in Calabria, nella nativa Scolacium (oggi Squillace), dove fondò un monastero e dedicò gli ultimi anni della sua vita allo studio e all’insegnamento della teologia, morendo, come si dice, in odore di santità. E chissà che un giorno non lontano possa diventare santo davvero: il santo dei Recioto veronesi.