Le sepsi sono infezioni batteriche del sangue gravi associate a una percentuale di mortalità fino al 40% dei pazienti ricoverati in terapia intensiva e sono responsabili di oltre 150mila morti ogni anno in Europa. Sono appena stati pubblicati sulla rivista Lancet Infectious Diseases i risultati dello studio Bloomy, che ha osservato 3591 pazienti con sepsi allo scopo di definire il rischio di mortalità a 14 giorni dalla diagnosi e a 6 mesi dalla dimissione. Lo studio ha l’obiettivo di sviluppare modelli predittivi per identificare precocemente i pazienti a più alto rischio di mortalità, per migliorare le opzioni diagnostiche e terapeutiche.
La ricerca è stata coordinato dalla professoressa Evelina Tacconelli, nella foto, direttrice della sezione di Malattie infettive dell’Università di Verona ed è stata finanziata dal Centro di ricerca per le Malattie infettive tedesco (DZIF). I pazienti sono stati seguiti dalle università di Tübingen, Freiburg, Berlino, Gießen, Colonia e Lubecca.
Lo studio dimostra che il 24% dei pazienti muore entro 14 giorni dalla diagnosi di sepsi e il 41% entro 6 mesi dalla dimissione dall’ospedale. Si è evidenziato, inoltre, che i batteri resistenti agli antibiotici, come stafilococco resistente alla meticillina e Gram negativi multi resistenti, sono associati a un aumento della mortalità non solo a breve ma anche a lungo termine. Questi dati sono importanti soprattutto alla luce delle stime che riportano che il 6% dei pazienti contrae una sepsi durante il ricovero ospedaliero per un totale di circa 3,2 milioni di casi all’anno e 150.000 decessi in Europa. La gravità e il decorso dell’infezione, con complicanze che durano anche mesi dopo la dimissione dall’ospedale, dipendono anche dalla salute sottostante del paziente e dal trattamento instaurato contro l’infezione.
“I modelli predittivi sviluppati da Bloomy”, spiega Tacconelli, “mostrano che la mortalità delle sepsi va al di là della mortalità intraospedaliera e che oltre la metà dei pazienti va incontro a decesso o a complicanze severe a 6 mesi dall’infezione. I risultati del nostro studio permetteranno di iniziare rapidamente interventi di trattamento calibrati sui pazienti a più alto rischio di morte”.
Sebbene esistano già modelli predittivi, gli score Bloomy sono i primi a valutare l’impatto delle sepsi a 6 mesi e a includere anche pazienti ricoverati nei reparti di medicina e chirurgia e non solo in terapia intensiva. “È importante sottolineare”, aggiunge Tacconelli, “l’impatto dei batteri resistenti agli antibiotici sulla mortalità dovuta alle sepsi. Se non si iniziano rapidamente degli interventi per il miglioramento della prescrizione antibiotica, il numero dei morti in Italia, che è già il più alto d’Europa, sarà destinato ad aumentare. Voglio ricordare che queste infezioni sono aumentate durante la pandemia anche a causa dell’incremento dell’uso inappropriato degli antibiotici come cura per il Covid-19, come recentemente segnalato anche da Aifa per il caso della carenza di azitromicina”.