(di Stefano Tenedini) Se non suonasse un po’ irrispettoso, direi che il risanamento della Ferroli dopo la grande crisi del 2015 è un case history di resurrezione inedito dai tempi di Lazzaro. L’annuncio di inizio febbraio aveva sorpreso – molto positivamente, va aggiunto – chiunque avesse seguito il repentino declino dell’azienda termomeccanica di S. Bonifacio. Fatturato e margini in crescita, innovazioni di prodotto, occupazione in ripresa, strategie commerciali funzionali al rilancio, valore stimato sorprendente e motivato dai 40 milioni di Ebitda, pari al 10% sul fatturato di 400. Così il fondo Attestor si dichiara pronto a valutare proposte di vendita da parte di compratori interessati. (qui il link all’articolo su L’Adige)
Il territorio economico veronese (dell’Est, ma non soltanto) è passato in pochi anni dallo spavento all’apprezzamento per questa complessa operazione di ristrutturazione, riuscita a riportarci un’azienda tanto storica quanto rappresentativa delle tradizioni industriali. Un esempio di trasformazione che sarebbe bello diventasse una sana abitudine. Ma potrebbe essere possibile? O di resilienza è più facile parlare che realizzarla? Lo abbiamo chiesto a Riccardo Garrè, che di Ferroli è amministratore delegato e in buona parte ha “firmato” il recupero dell’azienda per restituirla al mercato. Un manager diretto, che guida un ottimo staff e ama parlare soprattutto di risultati, ma senza rinunciare a progetti ambiziosi. Ascoltiamolo.
Non è il suo primo incarico di questo genere, ma sicuramente non è stato neanche il più facile. Che situazione ha trovato al suo arrivo?
Sono stato chiamato in Ferroli nel marzo del 2019. Prima ero a Vicenza: avevo seguito le Acciaierie Beltrame dove eravamo riusciti velocemente a creare valore con un imponente turnaround, per poi riconsegnare la guida alla famiglia proprietaria. La Ferroli, nonostante il piano di risanamento e ristrutturazione che era stato varato, aveva ancora problemi con la generazione di cassa. Così ho portato la mia equipe: un management team specializzato nella veloce creazione di valore, come sempre quando un dossier è difficile e richiede una competenza specifica. E siamo ripartiti prima da una analisi approfondita dell’esistente, e poi con una serie di interventi di riordino in tutte le aree e a vari livelli.
Quindi è stata l’esperienza – sua e del team – a fare la differenza? Cosa serviva in Ferroli?
No, la pratica era necessaria ma non sarebbe stata sufficiente. Bisogna ci sia il supporto di tutte le componenti dell’azienda, dentro e fuori. Intanto serve una governance armonica e coesa, in cui si trovino allineati il fondo di investimento, le banche e anche la famiglia, altrimenti non funziona e i dipendenti lo percepiscono. Tutti hanno fatto la loro parte: anche le banche hanno avuto fiducia, abbiamo rivisto e adattato il piano strategico e le indicazioni del management sono state seguite. Anche perché dal primo giorno abbiamo rispettato il piano, e questo ci è stato riconosciuto. Era importante valutare il potenziale delle tecnologie, delle innovazioni, l’equilibrio del mercato interno e internazionale, valorizzare la straordinaria storia del gruppo. E poi i prodotti: le competenze c’erano, quindi ci siamo concentrati sul core business e su un restyling che ha reso belle le caldaie.
Ristrutturare un’azienda non è solo “sistemare le cose”: e lei ha esperienze, oltre che in Beltrame, anche in KME, Saint Gobain, Bormioli Rocco. Qual è il fattore vincente?
Non ce n’è uno solo, bisogna avere una visione d’insieme dell’azienda ma poi entrare nei dettagli di ogni singola area. Tutti gli elementi che ho citato hanno grande importanza, e ce ne sarebbero ancora altri… Se devo citarne solo alcuni come riassunto, per me il piano di ristrutturazione e rilancio deve comprendere anche la profonda trasformazione della mentalità, del metodo di lavoro, della formazione, dell’approccio al mercato e del prodotto.
Allora riprendiamo proprio dai prodotti: cosa ha portato la Ferroli oltre le secche fino a ridiventare interessante per il mercato?
È un capitolo del quale, arrivati a questo punto, sono molto orgoglioso e grato al mio team e ai dipendenti. Prendo a esempio il restyling di cui dicevo prima: può sembrare una parte marginale, solo estetica, ma ci ha permesso di riposizionare i prodotti in una fascia alta. E poi Ferroli ha fatto “solo” il proprio mestiere, progettare e costruire scaldabagni e caldaie, con più innovazione. Ci siamo accordati con Vodafone per lanciare una caldaia, la Sublime, connessa con il 4G per comunicare con l’utente, e siamo stati premiati per la qualità innovativa. Con Microsoft inoltre abbiamo stretto un’intesa per applicare la realtà aumentata a installazione e assistenza: la caldaia come customer experience. Abbiamo poi brevettato un bruciatore a idrogeno, per essere pronti quando lo sarà la rete distributiva.
Avete annunciato un piano di formazione per reclutare e trattenere i talenti (qui il link all’articolo su L’Adige). Non è il classico atteggiamento “sistemiamo l’azienda e poi la vendiamo…”
La formazione è un valore assoluto. In Ferroli non si è mai fermata nemmeno durante la pandemia, anzi: abbiamo organizzato una quantità di webinar di livello nazionale anche con il Covid. Tanto che oggi nell’orizzonte italiano il nostro polo di formazione e ricerca ha una leadership assoluta per la formazione online sui temi chiave del settore. Non ci può essere sviluppo e tantomeno recupero se non si continua a investire sulle persone.
Dal punto di vista commerciale, invece, che cosa ha consentito di passare rapidamente dal declino alla ripresa? Ci sono dei punti di forza che spiccano?
Posso citare i due più importanti, che hanno rappresentato anche un acceleratore per un recupero di redditività decisamente superiore alle medie di settore. L’iniziativa Progetto Italia ci ha permesso di cambiare il nostro approccio commerciale: siamo passati dal sell-in al sell-out. In pratica siamo andati oltre la tradizionale vendita ai distributori, per rivolgerci agli installatori stessi, se non ai clienti finali che possono chiedere i nostri prodotti proprio ai distributori o agli installatori. Così in Italia abbiamo potuto esprimere tutta la redditività che meritavamo e aumentare la generazione di cassa. Oltre i confini nazionali abbiamo spinto su una maggiore integrazione commerciale di gruppo, che un po’ mancava. Ora la visione è globale, le aziende all’estero sono coordinate e anche il time to market si è ridotto.
Come descriverebbe la Ferroli oggi? C’è stato un momento che – letto in prospettiva – vede come il punto di svolta verso il risanamento?
Oggi siamo un’azienda, un gruppo con organizzazione a livello di multinazionale, con il posizionamento giusto e il proprio orgoglio ritrovato. Ciò ha portato rapidamente a un sensibile miglioramento della redditività. Il giro di boa mi piace collocarlo nel 2020, quando il team di management ha fatto una scelta coraggiosa, me lo lasci dire. Il primo lockdown ci stava mettendo in seria difficoltà, con la produzione e il mercato fermi e la scarsità di risorse. Così non solo ci abbiamo messo la faccia, ma abbiamo anche investito in prima persona. Siamo stati affiancati dalla proprietà, e a partire dal settembre 2020 lo sviluppo è ripartito, prima un po’ in sordina e poi accelerando. A trainarci le pompe di calore, il segmento dei sistemi ibridi, con il recupero di quote di mercato. E infatti ora il fatturato cresce più della media.
Guardando al 2015, quando si è manifestata la crisi della Ferroli, lei si era fatto un’idea degli errori commessi e delle cause della frenata?
Ci sono state sicuramente numerose cause esterne precedenti. Tutto il settore industriale, anzi, tutta l’economia veniva da pesanti crisi mai del tutto superate. Il sistema bancario si è trovato ad affrontare un numero enorme di problematiche aziendali, non sempre con la necessaria visione. Ferroli era un imprenditore geniale, che aveva fondato un’azienda con grandi intuizioni ma in un’epoca in cui non si dovevano gestire tali e tante complessità. Sì, qualche passaggio poteva essere seguito meglio, le acquisizioni estere non sono sempre state funzionali alla crescita… ma di base l’azienda era sana e solida. Lo dimostra anche il modo in cui oggi chiudiamo le partite finanziarie: le banche temevano di dover sostenere pesanti perdite e invece recupereranno valore. Diciamolo, è un caso unico.
Questo risultato spuntato tra pandemia, guerre, costi elevati e approvvigionamenti difficili può essere un modello per gestire le crisi? Replicabile nel manifatturiero italiano?
Secondo me sì, siamo diventati un business case! Lo vedo replicabile e applicabile, a patto di avere tutti gli elementi sotto controllo e di poter contare sulla delega piena della proprietà, un fattore tutt’altro che scontato e che ci ha permesso di continuare a guardare avanti, alle opportunità del mercato, a scelte innovative per il futuro. Come l’area “elettrica” cui ci stiamo dedicando, destinata a svilupparsi visto che il gas costa e costerà sempre di più. I punti chiave restano recupero di redditività, generazione di cassa e sviluppo tecnologico, e ci aggiungo un sistema di deleghe unite a un controllo che non è ispettivo ma di supporto. E non ci si ferma mai: abbiamo fatto analisi di mercato, letteralmente smontato i prodotti dei concorrenti, ridotto drasticamente gli articoli a magazzino da 100 mila a 5000. Perseverare è importante: solo così puoi diventare un riferimento per il settore. E adesso, finalmente, posso ammettere con il mio management team che siamo stati davvero bravi.
Preferirebbe che la Ferroli venisse acquisita da un investitore puro o da una proprietà di carattere industriale del settore termomeccanico?
Sono sincero: fino a un po’ di tempo fa c’era la convinzione diffusa che l’acquirente giusto dovesse essere un gruppo industriale. Ma adesso l’azienda ha assunto caratteristiche tali da renderla interessante anche per un investitore di capitale, come un private equity. E in ogni caso abbiamo dimostrato di avere ottime prospettive di sviluppo, di poter sostenere un piano industriale di grande potenziale e di poter crescere generando un considerevole ritorno del capitale. Oggi più che mai ritengo che la Ferroli sia un ottimo investimento.
Si rende conto di quanto il risanamento di Ferroli abbia sorpreso e sollevato il territorio, che temeva pesanti contraccolpi occupazionali e per la filiera?
Sì, e comincio ad accorgermene davvero solo ora. In effetti credo che, dopo una doverosa riservatezza mentre la ristrutturazione procedeva, sia giunto il momento di comunicare al territorio che cosa è stato fatto per preservare questa azienda simbolo. Vuol sapere qual è Il segno tangibile che intorno a noi l’aria è cambiata? C’è un numero crescente di persone che vogliono venire a lavorare qui. Non cercano soltanto un impiego, ma valorizzare gli studi che hanno fatto, o l’esperienza maturata nelle migliori aziende del settore. E’ una sensazione strana, ma piacevole, vedere che stiamo diventando noi la lepre da rincorrere.