(di Giovanni Perez) Se n’è andato anche Mario Martinelli, uno dei più preparati e eticamente impeccabili militanti di quel variegato universo umano che gravitava nella cosiddetta destra neofascista veronese, come si usava dire negli anni Settanta. In quegli anni, quando si scontrarono opposte idee della contestazione al sistema, Mario si schierò da una certa parte, quella verso la quale istintivamente aderii. Se n’è andato quasi in punta di piedi, così come aveva sempre vissuto, incarnando quella figura umana descritta da Evola, la figura di quell’uomo così saldo nei principi di un altro mondo possibile, da poter attraversare indenne le rovine che sono invece proprie di questo mondo.
Le sue analisi, udite in innumerevoli occasioni, sempre intrise di sano sarcasmo e sottile ironia, rimarranno per sempre impresse nella mia memoria. Pur non appartenendo alla medesima generazione, anche nei suoi confronti, così come avvertivo con gli altri maestri della mia gioventù ideale e politica, si stabilì quella “affinità elettiva” che oggi mi fa dire di aver perso, se le parole hanno un senso per nulla retorico e nostalgico, purtroppo incomprensibile dagli esegeti animati esclusivamente dalla malafede, un vero camerata di tante, comuni battaglie, tutte combattute sul crinale della dottrina, al di sopra della diversa e pur necessaria battaglia della politica quotidiana, per la quale necessitano altre vocazioni.
Fu l’avvocato al quale si sono rivolti in tanti, non solo per ragioni politiche, senza mai ostentare volgari benemerenze. Sembrava distratto e lontano, ma in realtà conosceva fin nei dettagli tutto ciò che riguardava questa nostra famiglia ideale e, nel suo senso classico, politica, che egli seppe giudicare con equilibrio e, al di là dei momenti di entusiasmo, con raffinato disincanto.
Condivideva lo studio di avvocato con Angelo Savoia e aveva il gran dono di saper ascoltare, passeggiando su e giù per la stanza, tra cataste di pratiche, libri, giornali, tutti disposti in un ordinato disordine, com’è giusto che sia.
Ha portato i capelli lunghi, nel frattempo diventati più radi e argentati, fino agli ultimi giorni. Gli occhialoni neri e un borsello un po’ demodé erano su di lui ben più che temporanei addobbi. Non molto tempo fa mi volle incontrare per regalarmi una raccolta della celebre “Crociata Italica”, la rivista cattolica pubblicata nella RSI durante la guerra, che conservava gelosamente tra le sue cose.
Negli ultimi anni faceva vita molto ritirata, tra l’affetto dei suoi cari e, come mi disse, ripercorrendo i grandi temi che lo avevano sempre appassionato, ai quali ora si aggiungeva quello che tutti li supera e che finalmente avrà ora ricevuto una risposta, così come tutte le altre domande che egli guardò con gli occhi di un saggio, umile scetticismo.