Un lavoratore italiano prende 10.700 euro meno di un lavoratore francese e 15 mila euro meno di un lavoratore tedesco. Questi gli stipendi in Italia. In Europa il salario medio è 37.400 euro di in Francia di 40.100 euro ed in Germania di 44.500. Ognuno faccia la differenza.
Una delle motivazioni i della differenza sarebbe la scarsa qualificazione dei lavoratori italiani. Da noi è il 13% a non essere qualificato, mentre nel resto dell’UE è del 9,9%.
Se poi si fa il calcolo di quanto le retribuzioni medie sono aumentate fra il 1990 ed il 2020 risulta che l’Italia è quella dove non solo gli stipendi non sono aumentati rispetto a 30 anni fa, ma addirittura sono diminuiti del 2,9% (fonte OCSE). In Spagna sono cresciuti del 6,2%, in Austria del 20,9%, in Francia del 31,1%, in Germania del 33,7% e in Irlanda addirittura dell’5,5%. Non citiamo gli aumenti vertiginosi dei paesi ex comunisti dove si va da un aumento del 69,3% della Slovenia al 96,5% della Polonia al 276,3% della Lituania. Ma questi non possono essere presi a paragone.
La Cgia di Mestre è favorevole al salario minimo di 9 euro lordi l’ora se come riferimento si tiene il Trattamento Economico Complessivo (Tec) e non la paga oraria.
Niente invece salario minimo agli apprendisti: sennò si rischierebbe di far sparire l’apprendistato.
Il Tec, oltre alla retribuzione lorda include anche la quota mensile di tredicesima e quattordicesima, del Tfr, della quota dovuta agli enti bilaterali, i permessi, le ferie ecc. Tenendo conto di queste voci la retribuzione oraria è già a superiore a 9 euro. Senza contare che è sempre più diffusa, soprattutto al Centro Nord, la sottoscrizione tra le parti sociali dei contratti di secondo livello (territoriali e/o aziendali) che, assieme al ricorso del welfare aziendale, consentono alle buste paga dei dipendenti di essere ancor più pesanti.