(di Stefano Cucco) “E’ in questo momento di grande tensione sullo stato delle risorse idriche che è fondamentale richiamare l’attenzione su aspetti determinanti, ma che rischiano di essere dimenticati appena calerà la pressione mediatica: dal Piano Laghetti per realizzare 10.000 bacini medio-piccoli entro il 2030 ai rischi della normativa europea sul Deflusso Ecologico solo rinviata di 2 anni; dalla risalita del cuneo salino, che sta cambiando l’habitat alle foci dei fiumi all’utilizzo delle acque reflue”: a dirlo è Francesco Vincenzi, Presidente di ANBI, annunciando il convegno nazionale di giovedì nel ferrarese, dedicato alla progressiva salinizzazione dell’entroterra padano ed all’indomani del simposio sull’uso dell’acqua depurata in agricoltura, svoltosi a Milano.
“Sull’utilizzo delle acque reflue per la produzione di cibo”, precisa Massimo Gargano, Direttore Generale dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI), “va coinvolto l’intero sistema interessato e competente, ma non va certo in questa direzione l’istituzione di un apposito gruppo di lavoro presso il Ministero della Transizione Ecologica, che non prevede però alcuno dei portatori d’interesse; così come non è possibile destinare solo il 2% del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza al miglioramento dell’infrastrutturazione idrica del Paese. Non ce lo possiamo più permettere; ci vuole coerenza fra affermazioni di principio e scelte concrete”.
“Nel giugno del 2023”, conclude il Presidente di ANBI, “entrerà in vigore la normativa europea sull’uso delle acque reflue anche in agricoltura e l’Italia è a forte rischio infrazione, perché una significativa parte di depuratori non sono adeguati ed attualmente le esperienze virtuose di utilizzo sono ancora poche. Non solo: ai forti carichi di sostanze nutrienti ma inquinanti per l’ambiente, come azoto e fosforo presenti nelle acque depurate, si è aggiunto recentemente l’allarme per le microplastiche, la cui diffusione attraverso l’irrigazione sarebbe una pericolosa per il made in Italy agroalimentare, ma soprattutto per la salute collettiva. Solo un’accertata, condivisa e preventiva soluzione di questi problemi potrà sviluppare l’uso delle acque reflue in agricoltura e che, secondo alcune stime, potrebbe rappresentare circa un 13% in più di disponibilità idrica; certamente però non vogliamo essere additati come i nuovi untori”.