(di Elisabetta Tosi) Dare a tutti i produttori la possibilità di avere un vigneto migliore, grazie a piante dotate di una certificazione che fin dal vivaio ne attesti l’identità parietale e l’integrità sanitaria. É uno degli obiettivi della ricerca sul germoplasma viticolo portata avanti dal Consorzio di Tutela Vini Doc Sicilia in partnership con il Dipartimento regionale dell’Agricoltura della Regione Siciliana, l’Università degli Studi di Palermo e il Centro regionale “F. Paulsen” per la conservazione della biodiversità viticola ed agraria. Il progetto è stato lo spunto per un momento di approfondimento sul vitigno Grillo, uno dei più rappresentativi dell’isola.
“In Sicilia si é cominciato a fare vino 3000 anni fa – spiega Antonio Rallo, presidente del Consorzio Doc Sicilia – Oggi studiando la variabilità espressa dal Grillo potremo trovare quella combinazione di biotipi che ci serve per migliorare ancora. In passato si sono
privilegiati i biotipi più produttivi, ora dobbiamo tornare indietro e ricercare quelli più qualitativi. Lavoro non facile, perché la Sicilia é un territorio immenso e molto diversificato. Ma é un lavoro che vale la pena fare”.
Frutto di un incrocio tra Catarratto Bianco (oggi chiamato Lucido) e Moscato d’Alessandria (il famoso Zibibbo dei passiti di Pantelleria) ottenuto a fine ‘800 dall’ampelografo barone Antonio Mendola, il Grillo è una delle uve più rappresentative dell’isola, tra le oltre 70 varietà autoctone coltivate nei quasi 98 mila ettari di vigneto siciliano. “Il Grillo è un’uva con una particolare “intelligenza adattativa” – dice l’enologa Lorenza Scianna – La Sicilia si presenta come un mosaico molto eterogeneo per orografia, clima, suoli, escursioni termiche, temperature e piovosità: a seconda di dove si trova, il Grillo si adatta all’ambiente e si esprime in maniera diversa, pur mantenendo sempre un’identità precisa”.
Una prova di questa versatilità si è avuta nella degustazione tecnica organizzata per l’occasione dal Consorzio Doc Sicilia e guidata dalla stessa Lorenza Scianna: sei vini Grillo in purezza dell’annata 2021, provenienti da sei diversi territori dei circa 8500 ettari sui quali si coltiva questa varietà.
Si è iniziato con un vino della provincia di Palermo: all’occhio, un vino dal colore paglierino leggero e lucido. Coltivato su terreno argilloso, a 400-500 m. sul livello del mare, ad un primo impatto presenta profumi di salvia fresca, della mela verde, mentre tornano i sentori di salvia con un accenno di agrumi.
L’uva del secondo campione è stata coltivata su un terreno di natura calcarea, della provincia di Caltanissetta. L’altitudine del vigneto è superiore a quella del precedente, e così l’escursione termica tra giorno e notte: tra il minimo e il massimo della temperatura, lo scorso anno ci sono stati quasi 20 gradi di differenza, che ha portato ad un anticipo di maturazione e ad una raccolta nella prima decade di settembre. In questo caso il vino mostra un color taglierino leggermente più dorato, con profumi più leggeri di pesca bianca, salvia e un po’ di albicocca. In bocca è meno timido, e si presenta bello rotondo, succoso, agrumeto e tropicale.
Un suolo più sabbioso e assolato è quello del Grillo nato in provincia di Ragusa: il vino color paglierino ha profumi immediati di pepe e frutta tropicale matura con una punta di liquirizia. Al gusto si avverte la pesca gialla e un accenno balsamico e resinoso da
macchia mediterranea.
Il quarto vino è della provincia di Siracusa, da una zona dove il suolo ha una prevalenza di calcare. Nel bicchiere il colore è paglierino con riflessi verdolini, i profumi sono dolci, quasi zuccherosi, con note di frutta gialla e bianca. C’è perfino un accenno di idrocarburo. In bocca però l’acidità è molto vivace, e il gusto è piacevolmente sapido.
La provincia di Agrigento, sulla costa sud occidentale della Sicilia, è una zona ricca di sali minerali. Il vigneto in cui sono cresciute le uve di questo campione si trova a 600 m., su terreni sabbiosi e calcarei. Il vino di color paglierino brillante ha un bellissimo profumo di legno esotico, melone giallo maturo, fiori bianchi e gialli. In bocca è molto fruttato, sa di pesca gialla matura, rotondo e pieno.
L’ultimo campione è della provincia con la maggior superficie coltivata a Grillo, quella di Trapani. Una zona che l’anno scorso ha visto superare i 40 gradi durante l’estate. Questo vino è fatto con uve di appezzamenti diversi, sia per suolo che per altitudine, cosa che si esprime con un bouquet di aromi molto sfaccettato ma piacevolmente vegetale: foglia di pomodoro, mentuccia, asparago, seguiti da una pesca gialla quasi sovramatura. In bocca però il vino è molto equilibrato, fresco e agrumato.
Se queste sono le espressioni del Grillo di oggi, come sarà quello di domani?
“I modelli predittivi non sono molto favorevoli – ammette Antonio Rallo – Nei prossimi 50 anni sono previsti aumenti di temperatura media da 1 a 5 gradi in più, e simili aumenti vanno a incidere su tutti i metaboliti della vite. La viticoltura dovrà essere sempre più un lavoro di precisione: dovremo usare sempre di più tutti i mezzi tecnici a disposizione per pianificare il lavoro più opportuno, in modo da non disperdere più nulla, né acqua né trattamenti”.
“Io mi fido della vite – dice l’enologa Scianna – É una pianta che ha sviluppato una delle forme più adattamento più incredibili. Mi fido del Grillo, perchè ha una vigoria molto importante. Ma anche noi dovremo fare la nostra parte, intervenendo con ogni mezzo
possibile, modificando la gestione della chioma, cambiando forme di allevamento, portinnesti, orientamento dei filari, esplorando nuovi ambienti… Fare finta di niente non serve, e soprattutto non ce lo possiamo permettere”.