Se l’Italia vuol prendere i soldi del Recovery Fund deve riorganizzare la medicina territoriale. E’ quindi il ruolo del medico di famiglia – e del pediatra-, figura chiave del Servizio Sanitario, che dev’essere rivisto. Diventa allora inevitabile che al primo gennaio prossimo i medici di medicina generale entrino nelle “Case di Comunità” previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il tema è stato trattato ieri dalla conferenza nazionale degli assessori alla sanità delle varie regioni.
Il passaggio dalla libera professione convenzionata con il SSN alla dipendenza dovrebbe avvenire per gradi. Inizierebbero i neo-laureati, che verrebbero assunti direttamente. Per i medici che già operano si ipotizzano diverse soluzioni, ma in ogni caso dovranno garantire il lavoro nelle case della comunità, le prestazioni chieste da Regione e l’assistenza domiciliare.
Con il nuovo assetto territoriale sarà indispensabile il coordinamento con gli infermieri di comunità e con la “Guardia medica” dalle 8 a mezzanotte, lasciando coprire il servizio il 118 dalle 0 alle 8.
Su questo ci sarebbe da discutere. Sarebbe meglio sciogliere la Guardia Medicane e farne rientrare i medici nel ruolo dei medici di famiglia così da coprire l’intero orario, compreso quello notturno. I medici dipendenti avrebbero orari precisi, timbrerebbero il cartellino e svolgerebbero servizio anche in sedi disagiate.
Alternativa è la convenzione di singoli medici e infermieri con 1.500/2.000 pazienti dotati di rete informatica coprendo l’assistenza fra le 8 e le 24. Lo stesso con cooperative di medici.
C’è un ultima possibilità. Dipendenza per i nuovi medici e mantenimento ad esaurimento del vecchio sistema per tutti gli altri. Ma bisogna vedere se questa soluzione, che non è né carne né pesce, permette di accedere comunque al Ricovery Fund. Il dibattito fra Regioni, Fimg e sindacati del settore sanitario è in corso.