(di Stefano Cucco) Incredibile, ma purtroppo è vero : è piovuto tanto ma c’è poca acqua. Infatti, le piogge anche violente di questo periodo, che si sono abbattute sull’Italia, hanno inciso pochissimo sullo stato idrologico della penisola, soprattutto al Nord. Il report settimanale dell’Osservatorio ANBI (Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue) sulle Risorse Idriche segnala che seppur in leggera crescita sono sotto media i laghi Maggiore e Lario (quest’ultimo al 31,2% del riempimento).

Decrescono pure i corsi d’acqua valdostani, così come il fiume Po, che in Emilia Romagna ha portate dimezzate rispetto alla media storica e circa il 30% di quelle dello scorso anno, segnando nel piacentino il secondo valore più basso registrato nei 15 anni più recenti (il record negativo è del 2017). In Piemonte, è stabile la Sesia e calano le Sture di Lanzo e di Demonte, mentre crescono, ma di poco, Varaita, Pesio ed anche il Tanaro, la cui portata è però meno della metà rispetto all’anno scorso. Se tiene l’Adda in Lombardia ed i fiumi veneti sono complessivamente in linea con gli anni scorsi, resta largamente deficitaria la condizione dei principali corsi d’acqua in Emilia Romagna: sono tutti con portate minime, ma il Reno è addirittura in secca ed il Trebbia segna una portata di 2,1 metri cubi al secondo, quando la media storica è pari a mc/sec 17 e l’anno scorso era di mc/sec 19,77.

“Si tratta”, afferma Francesco Vincenzi, Presidente ANBI, “dell’ennesima evidenza di fenomeni meteorologici che, seppur violenti sul piano locale, non apportano, però, benefici alla situazione idrologica complessiva. Per evitare che tali evenienze siano solo foriere di danni, che costano annualmente circa 7 miliardi al nostro Paese, è necessario adeguare la nostra rete idraulica e realizzare nuovi bacini, capaci di trattenere le ondate di piena, deviandole dai centri abitati e trasformandole in risorsa per i momenti di siccità”.

Ma anche il centro Italia non se la passa bene. In Toscana preoccupano le scarse portate di fiumi primari come l’Arno (mc./sec. 28,70 contro una media di mc./sec. 101,4) e l’Ombrone (mc./sec. 1,56 contro una media pari a mc./sec. 23,38). Buone notizie arrivano finalmente dalle Marche, dove tutti i corsi d’acqua hanno portate superiori al 2019 ed anche i bacini registrano un lieve recupero. La “verde” Umbria si avvicina alla stagione invernale dopo una prolungata estate siccitosa, che ha segnato addirittura -85% nei rilevamenti pluviometrici su Terni. Stesso discorso vale per l’Abruzzo, dove a soffrire non sono ora solo i territori costieri del chietino e del pescarese, ma anche l’aquilano, principalmente nella Valle del Fucino e sul versante occidentale della Maiella. Si presentano stabili, ma con tendenza al rialzo, i livelli dei fiumi laziali Liri e Sacco, mentre sono in calo le portate di Sele e Volturno, in Campania. Preoccupa anche il sud della Penisola. In Basilicata, dove ad ottobre non si sono registrate precipitazioni di particolare intensità e le condizioni climatiche rimangono miti, gli invasi hanno rilasciato, in una decina di giorni, 6 milioni e mezzo di metri cubi d’acqua, mantenendo comunque oltre 83 milioni di metri cubi in surplus su quanto trattenuto a Novembre 2020; i livelli particolarmente bassi del fiume Agri sono però il segnale di un bilancio idrico stagionale largamente deficitario, compensato solo dagli ottimi accumuli dello scorso inverno (fonte: Autorità di Bacino Distrettuale dell’Appennino Meridionale). Anche in Puglia, in particolare nell’entroterra brindisino e lungo la costa adriatica della provincia di Lecce, si registrano condizioni di particolare aridità con livelli pluviometrici localmente inferiori ai 10 millimetri registrati nel mese di settembre.

“In questo quadro allarmante che si è delineato”, afferma Massimo Gargano, Direttore Generale di ANBI, “chiediamo di aprire un confronto con il Governo perché a fronte delle emergenze registrate soprattutto nel Sud Italia e di progettualità definitive, approntate dai Consorzi di bonifica per circa 2 miliardi di investimento, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza mette a disposizione meno di 600 milioni. Eppure, il futuro del nostro Paese non può prescindere dalla sicurezza idrogeologica che, secondo una recente indagine, è ritenuta la principale preoccupazione per il 58% degli italiani”.