Dopo la richiesta di risarcimento danni avanzata al Governo da un gruppo di ristoratori veronesi, anche i Ristoranti del Buon Ricordo – un centinaio di imprese in Italia e all’estero – scendono in campo chiedendo a tutti i ristoratori italiani di muovere insieme contro il blocco delle attività. Spiega Cesare Carbone (nella foto) presidente del sodalizio avviato ben 57 anni fa: «Il primo grido d’allarme l’abbiamo lanciato lo scorso 30 marzo 2020. Il secondo è datato 22 aprile 2020. Il terzo, che speravamo fosse l’ultimo, il 16 maggio 2020. Ormai non c’è più tempo. Il mondo della ristorazione italiana di qualità oramai è esausto. 11 mesi sono trascorsi dall’inizio della pandemia,11 mesi durante i quali la nostra categoria ha accettato di chiudere a ripetizione le proprie attività in nome della salute. Noi ristoratori abbiamo un cuore e lo abbiamo dimostrato. Le briciole dei ristori, quando sono arrivate, sono state proprio tali. Abbiamo accettato anche il gioco dei colori, delle aperture e chiusure per salvare il Natale, poi per salvare gennaio, poi…?
Purtroppo la realtà dei fatti – prosegue Carbone – ha dimostrato che non erano i locali pubblici i portatori di contagi. Tutti sappiamo che pranzare in un ristorante è più sicuro che farlo in una mensa aziendale. Allo stesso modo non possiamo credere che le resse nei supermercati e l’affollamento dei posti di lavoro siano meno pericolosi. Ci è voluto del tempo ma tutti ora, noi e i nostri clienti, abbiamo capito che la scelta di chiudere determinati settori è stata una scelta di comodo. Guarda caso sono i settori nei quali è unanimamente riconosciuta la professionalità e la passione per il proprio lavoro. Settori abituati ad abbassare la testa e lavorare.
In nome di questo, il governo ha pensato che avremmo digerito ogni cosa, lamentandoci, scrollando la testa ma poi rifugiandoci, per la sopravvivenza, in forme inutili economicamente come asporto e delivery. Tutto giusto. Così è stato. Con il risultato che tanti di noi sono alla canna del gas! Ora basta! La misura è colma. Ci mancava solo l’invito ad aprire le nostre attività per 2 giorni per poi chiuderle nel week end, per poi colorare di nuovo l’Italia di giallo e arancione limitando o vietando il nostro lavoro in modo quasi sadico, per completare la presa in giro.
Oggi chiediamo di lavorare in sicurezza, ma con la possibilità di arrivare vivi alla ripartenza con giusti ristori, non con briciole. Se davvero siamo contagiosi dovremmo essere noi i primi a tirarci fuori dalla mischia. Ma non possiamo farlo da soli. Chi si alza ogni mattina all’alba e per 16 ore non esce dal proprio locale ha una dignità. Ora questa dignità è stata troppe volte calpestata. Asporto e delivery per le regioni arancioni e aperture solo a pranzo infrasettimanalmente per le regioni gialle sono delle prese in giro senza senso».