(di Stefano Tenedini) Nel 2020 il Covid-19 ha colpito duro l’occupazione: alla sola Verona in dodici mesi il virus è costato 1450 posti di lavoro, che arrivano a 38 mila in tutto il Veneto. È il drammatico risultato dei saldi dell’anno appena resi noti dall’osservatorio regionale di Veneto Lavoro. L’anno scorso infatti gli effetti dell’emergenza pandemia hanno causato in Veneto una riduzione del saldo occupazionale di 11.400 posizioni di lavoro dipendente, a fronte di un 2019 che si era chiuso con un risultato positivo di +26.500 posizioni lavorative. Dal confronto tra i due anni risulta che l’impatto occupazionale della pandemia regionale, tra mancate assunzioni e lavori cessati mancano è stato appunto di circa 38 mila posti.

Il calo dell’ultimo anno è dovuto prevalentemente al crollo delle assunzioni, passate dalle quasi 600 mila del 2019 a circa 453 mila nel 2020 (-24%), toccando nel periodo più acuto della crisi il -47% rispetto all’anno precedente. La forbice si è ristretta nel corso dell’estate fino al -8%, per poi tornare ad allargarsi gradualmente in ottobre (-12%), novembre (-22%) e dicembre (-32%). Le categorie più penalizzate sono le donne con un calo delle assunzioni del 27% (rispetto al -22% degli uomini), e i giovani (-28%). Il bilancio occupazionale poteva essere peggiore, ma le misure adottate a livello governativo, come l’estensione della cassa integrazione in deroga a gran parte dei lavoratori dipendenti e il blocco dei licenziamenti hanno contribuito a contenere le cessazioni, soprattutto per l’occupazione stabile.

Gran parte degli effetti del lockdown si sono infatti scaricati sull’occupazione temporanea, soprattutto quella di carattere stagionale, e si può stimare che nei primi undici mesi 2020 le giornate lavorate con contratti a termine siano state 12 milioni in meno rispetto al 2019 (-20%), passando da un totale di 64 milioni a 52 milioni. Va anche considerato che il blocco dei licenziamenti ha per ora solo anestetizzato e congelato l’esatta percezione di quanto sia profonda la crisi del lavoro, rendono incerta la determinazione degli effetti.

Il settore più colpito dalla crisi è il turismo, che ha perso 14.800 posti di lavoro e subito un calo delle assunzioni del 45%, come negative sono anche altre attività dei servizi: a partire da commercio al dettaglio (-1.350), trasporti (-500), attività finanziarie (-400), l’editoria e la cultura (-250). Nel manifatturiero a soffrire maggiormente sono i comparti del Made in Italy, in particolare l’occhialeria e il sistema moda, che hanno visto ridursi le assunzioni del 62% e di oltre il 30%. In controtendenza l’edilizia che, spinta anche dal superbonus e dalle altre agevolazioni messe in campo per rilanciare il settore, chiude con un bilancio positivo analogo a quello del 2019 (+3.100 posizioni lavorative).

L’emorragia di posti di lavoro ha interessato tutte le province venete, con saldi negativi in ogni area tranne che a Treviso (+1350) e Rovigo (+600), anche se su valori comunque bassi rispetto al 2019. Il dato più negativo si registra a Venezia (-6.450), in virtù della vocazione turistica del territorio, seguita da Belluno (-4400), Verona (-1450), Padova (-950) e Vicenza (-120). Domanda di lavoro in calo con valori dal -11% di Rovigo al -35% di Venezia.

A livello contrattuale i rapporti a tempo indeterminato hanno segnato un saldo positivo di 26.500 posti, ma di molto inferiore a quello del2019 (-40%) e con un calo delle assunzioni del 26%, nonostante gli incentivi messi in campo per favorire le stabilizzazioni, il cui effetto è stato particolarmente evidente solo sul finire dell’anno (+81% a dicembre). Male anche apprendistato (saldo -6.000, assunzioni -34%) e tempo determinato (-31.800 e -23%). Un trend analogo per forme contrattuali quali lavoro somministrato, intermittente, tirocini e collaborazioni. Positiva invece la dinamica del lavoro domestico.

In calo la disoccupazione, per l’effetto combinato di varie cause: il lockdown, con difficoltà di spostamento e chiusure degli uffici pubblici; lo scoraggiamento consueto nei periodi di crisi economica, che ha spinto molti disoccupati a rinunciare a cercare un nuovo lavoro a causa delle difficoltà; le misure di tutela dell’occupazione, che hanno irrigidito i flussi sia in entrata che in uscita dal mercato. Il flusso delle dichiarazioni di disponibilità presentate nel corso del 2020 è diminuito del 17%, passando dalle quasi 142 mila del 2019 a circa 118 mila l’anno scorso. Gli ingressi in disoccupazione riguardano prevalentemente lavoratori che avevano un contratto a tempo determinato, che rappresentano il 47,5% del totale. In calo anche i licenziamenti: -4,5% per quelli disciplinari e -45% quelli economici individuali e collettivi. Sul lato economico l’avvio della campagna di vaccinazione migliora le previsioni per il 2021, nonostante l’inizio anno sia ancora problematico.