(s.t.) Il virus è il nemico mortale dell’Italia: non solo per la salute, ma anche delle imprese. Come continua a sottolineare il presidente di Confindustria Bonomi è l’industria, insieme ai servizi, che tiene in piedi il Paese. Ma l’aver ingessato la produzione ha fatto crescere il debito e reso pesantissimi gli oneri finanziari, e questo sta scatenando una serie di effetti combinati di cui pagheremo le conseguenze così a lungo che non si sa neanche quanto. Lo rileva il Centro Studi di Confindustria con Francesca Brunori e Ciro Rapacciuolo nell’analisi che conferma i timori di Paolo Errico nell’intervista che pubblichiamo su L’Adige.
La conclusione della nota suona come una campana a morto per le politiche del governo sulla crisi economica e su come uscirne. Gli interventi sin qui messi a punto dall’esecutivo attraverso i provvedimenti del 2020 e quelli previsti nella manovra di bilancio appaiono incompleti, e soprattutto per le PMI e mid-cap andrebbero ulteriormente rafforzati. È una questione di natura strutturale, che dovrebbe essere affrontata nel progetto per l’utilizzo del Recovery Fund europeo. E invece per ritoccare il piano è servita una crisi di governo.
Ma andiamo nel dettaglio. Nel 2020 il credito bancario alle imprese italiane ha registrato un balzo (+7,4% annuo a ottobre), spinto dai prestiti emergenziali con garanzie pubbliche, arrivati oggi a circa 146 miliardi. Questo strumento è naturalmente servito per arginare la crisi di liquidità subita dalle imprese, causata dal crollo dei fatturati dovuto al lockdown e alle altre misure restrittive imposte dalla pandemia. Tuttavia in molti settori dell’industria e dei servizi ciò ha gonfiato il debito, misurato in anni di cash flow generato dalle imprese.
Solo per fare un esempio, nei servizi si è passati in media da 1,9 a 11,2 anni. E il cash flow si è bruscamente assottigliato nel 2020, diventando in alcuni casi addirittura negativo: da 81 a -4 miliardi nel totale del manifatturiero. Tanto che il semplice “servizio del debito”, un indicatore che descrive la quantità di cassa disponibile a soddisfare interessi e rimborsi del capitale sul debito, nella situazione attuale sta prosciugando le risorse interne disponibili. La morale è che senza interventi di policy mirati a rafforzare la situazione finanziaria delle imprese (in primis un allungamento della durata del debito) e senza un solido recupero di fatturato e cash flow già dal 2021, in quasi tutti i settori dell’industria e dei servizi il flusso di nuovi investimenti produttivi sarà messo a rischio dall’eccesso di indebitamento.
Le stime del cash flow per settori dell’industria mostrano una situazione diversificata nel 2020. Da un lato alcuni settori come alimentare o farmaceutico non hanno sofferto cali del flusso di risorse interne, mentre all’altro estremo molti comparti si ritrovano ad avere un cash flow negativo. Per alcuni di questi, già in affanno nel 2019 (macchinari, metallurgia, mezzi di trasporto) i valori negativi nel 2020 sono molto marcati. Anche nei servizi c’è una riduzione molto marcata: i valori peggiori si trovano nelle attività di alloggio-ristorazione legate al turismo, con il crollo del commercio (da 48,3 a -9,4 miliardi). Per gli altri le risorse sono quasi svanite: nel trasporto-magazzinaggio si è scesi da 19,5 a 0,5 miliardi.
A proposito del debito: nella situazione pre-Covid, cioè con il cash flow del 2019 e il debito bancario contratto fino ad allora, lo si poteva ripagare abbastanza in fretta. Anche grazie al rafforzamento dei bilanci realizzato in Italia nel decennio successivo alla crisi del 2007-08, parliamo, destinando in astratto a questo scopo tutto il cash flow, di poco più di due anni e con interessi del 4,4%, una quota tutto sommato contenuta delle risorse interne. Anche in questo caso c’erano settori più o meno appesantiti, ma in un quadro di semi-normalità. Il tracollo è ovviamente avvenuto nel 2020, dato il massiccio ricorso a prestiti bancari anti-Covid e il prosciugarsi del cash flow: infatti l’onere per interessi è balzato a 4,2 miliardi. E il Centro Studi Confindustria non considera neanche “aritmeticamente possibile” calcolare quanti anni servirebbero a estinguere il debito: e a lungo termine ciò renderebbe il debito insostenibile tanto per le imprese che per i servizi e le costruzioni.
Immediato e preoccupante il riflesso sull’innovazione, che rappresenta il valore aggiunto delle imprese italiane. Per quasi tutti i settori, con risorse interne così limitate o assenti, è difficile immaginare che si possano realizzare nuovi investimenti ai ritmi pre-crisi. Prima della pandemia il flusso annuo di investimenti in beni materiali del manifatturiero era pari a 35 miliardi, cui si sommavano i 51 miliardi dei servizi e i 5 miliardi dell’edilizia. L’anno scorso mantenere questo ritmo di investimenti produttivi è diventato proibitivo. Nel 2021 si prevede che sul fronte del cash flow la situazione rimarrà tesa, seppur meno critica che nel 2020. Il fatturato industriale dovrebbe registrare una risalita solo parziale (+9,8% dopo il -14,5% del 2020): in tale scenario il cash flow tornerebbe positivo per 42 miliardi, ma con un indebitamento più pesante a causa del debito più alto e del minore valore creato.
Da questa analisi, il Centro Studi Confindustria trae diverse considerazioni di policy. Prima di tutto occorre consentire un allungamento dei tempi di rimborso dei debiti di emergenza contratti nel 2020, per ridurre le tensioni finanziarie create dall’indebitamento e liberare risorse per nuovi investimenti, necessari per competere e svilupparsi. In una prospettiva di lungo periodo che guardi oltre la crisi, al rilancio del sistema produttivo, bisogna sostenere la crescita dimensionale delle imprese e riequilibrare la loro struttura finanziaria. Come? La strada è una maggiore patrimonializzazione, un intervento necessario per riprendere l’irrobustimento dei bilanci iniziato nel 2008 che si è interrotto bruscamente nel 2020. In questo modo si rafforzerà la capacità delle imprese di svilupparsi, innovare e competere sui mercati globali, sostenendo la tenuta del lavoro e la creazione di valore.