Sull’aeroporto Catullo continua assordante  il silenzio degli azionisti pubblici veronesi che domenica vedranno scadere il patto di sindacato in AeroGest, la scatola societaria che raccoglie gli enti territoriali (non tutti, va detto: restano “non vincolate” le quote della Provincia di Bolzano, della Provincia di Brescia e della Fondazione CariVerona) dello scalo. Nessuno ha risposto alle richieste della Lega – che vuole la riscrittura degli impegni dell’azionista privato SAVE con l’indicazione nero-su-bianco di un piano di sviluppo interamente scaligero partendo da un nuovo management rafforzato-. Con una sola eccezione, Alberto Bozza, consigliere regionale di Forza Italia, che ha invitato (qui la sua dichiarazione) a mantenere il legame con la società veneziana che controlla il Marco Polo di Venezia, il Canova di Treviso (oggetto ora di massicci investimenti in vista delle Olimpiadi invernali del 2026 e che diventerà base d’armamento per Ryan Air) nonché una quota dell’aeroporto di Charleleroi in Belgio.

Non è l’unico, in verità,  a pensarla così. C’è ancora una “scuola di pensiero” a Verona che, ufficiosamente non prendendo mai posizione pubblica, sostiene che la causa di quanto accade all’Aeroporto di Verona sarebbe proprio la mancanza di investimenti da parte dei soci pubblici.  Si dice: «La SAVE ha rimesso in piedi un Catullo che stava fallendo»”. Non è vero. Basta consultare il bilancio 2014 per notare che la Catullo era stata già ristrutturata con la dismissione delle società “Catullo Park” e “Avio-Handling”, che ha comportato l’esodo 140 dipendenti. Tutti i soci avevano aderito a un aumento di capitale di 15 milioni di euro, versandoli interamente, a sostegno della ristrutturazione.

L’ingresso della SAVE, privata, nella Catullo spa, pur in assenza di una gara pubblica, è stato raccontato come necessario per assicurare gli investimenti di rilancio dell’aeroporto. E allora che cosa c’entrano i soci pubblici? A più di cinque  anni dal suo ingresso in Catullo SAVE non ha fatto un investimento degno di questo nome. Il degrado dell’aeroporto lo vediamo tutti. I passeggeri che arrivano trovano una struttura scalcinata rispetto a quanto offerto negli scali vicini.

Degli impegni presi con clamore da SAVE nessun risultato si è concretizzato. Sono quasi sei anni che gli aeroporti di Verona e Brescia sono abbandonati, spolpati di competenze e appeal, in attesa degli investimenti che non arrivano. Il “progetto Romeo”, poco utile e di corto respiro, è un chiaro indicatore che si è puntato al ridimensionamento dello scalo di Verona che subirebbe così una limitazione definitiva della capacità ricettiva a soli 4.5 milioni di passeggeri all’anno, quando il territorio del Garda ha una potenzialità di almeno 10 milioni di passeggeri.

Non a caso, lo scalo di Verona è quello che è cresciuto di meno nel nord Italia in termini di traffico passeggeri nel 2019 (periodo pre-covid); gli scali di Bergamo, Bologna, Treviso e Venezia sono tutti cresciuti e con tassi di sviluppo superiori a quello fatto registrare da Verona.;  lo scalo di Brescia, sebbene sia utilizzato per il traffico di spedizioni espresse e postali che in questo momento di pandemia sta conoscendo ovunque una vera “primavera”, non ha visto ancora – da quando c’è SAVE – un solo volo passeggeri e ben pochi voli Cargo, attratti molto di più dalle caratteristiche tecniche e logistiche degli altri aeroporti lombardi, Malpensa in testa.

 E ancora, il piano di sviluppo fatto approvare dalla SAVE prevede di fatto un importante ridimensionamento definitivo dello scalo di Verona, così da eliminare il principale e potenzialmente più spumeggiante concorrente di Venezia sul territorio. Il mancato sviluppo degli scali di Verona e Brescia ha avuto un significativo impatto economico occupazionale negativo su Verona e sul territorio del Garda. Il post pandemia e la ripresa che tutti stiamo aspettando necessitano di concreti investimenti per uno sviluppo commisurato alle potenzialità di questo territorio. Proprio quello che SAVE non riesce e non vuol garantire.