(di Stefano Tenedini) “I prestiti di emergenza con garanzie pubbliche hanno arginato i seri problemi di liquidità che le imprese si sono trovate a fronteggiare nel 2020 per il crollo dei fatturati originati dalle chiusure per la pandemia. Ma se prima del Covid i debiti bancari si potevano ripagare abbastanza rapidamente grazie ai bilanci rafforzati in un decennio, da poco più di due anni nell’industria a meno di un anno nei servizi, la crisi dell’anno scorso e il crollo del cash flow ha fatto lievitare il peso del debito”. Perciò bisogna allungare i tempi di rimborso del debito di emergenza”.

L’ha spiegato con molta chiarezza Emanuele Orsini, vicepresidente nazionale di Confindustria per il Credito, la finanza e il fisco. Secondo Orsini “appare essenziale agire sia subito che in prospettiva: affrontare il pericolo immediato allentando le tensioni cui le imprese sono sottoposte a causa dell’indebitamento, perché liberino più risorse per investire, competere e crescere. Quindi – ha detto Orsini – serve una soluzione che consenta alle imprese, e non solo a quelle destinatarie di finanziamenti fino a 30 mila euro, di allungare il rimborso dei debiti contratti nel 2020 oltre i sei anni”.

Il problema posto da Orsini è comune a moltissime piccole aziende veronesi e del Nordest, ci assicura Paolo Errico, presidente delle PMI di Confindustria Veneto, anzi, è IL tema per eccellenza nella sfida della ripresa. “Le aziende chiedono da un lato di mettere finalmente mano a riforme ormai improrogabili”, conferma, “ma dall’altro ritengono essenziale qui e ora garantire prima di tutto la loro sopravvivenza. Un compito davvero arduo, e non solo per le scarse disponibilità economiche, ma anche per la necessità di selezionare le imprese meritevoli e quelle ormai decotte e con poche speranze di riprendersi, Covid o non Covid. Un intervento selettivo e complesso che può sembrare impietoso, ma è necessario e tutto sommato potrebbe essere attuato più avanti. Perché adesso non c’è tempo da perdere”.

La priorità, spiega Errico riprendendo il concetto espresso Orsini, è trovare la formula per far “scivolare” in avanti il ritorno del debito ottenendo una curva più moderata, spostando e diluendo l’impegno in 10-15 anni. “Non è impossibile, basta individuare un modello che sia sostenibile. Non si capisce come di fronte a un impatto così devastante della pandemia, con interventi europei sulle economie e le finanze pubbliche, tempi diluiti e tassi negativi, non si possa fare lo stesso con il mondo delle imprese. Non sto dicendo a fondo perduto”, aggiunge, “ma con tempi diversi e più accettabili. Più avanti, in una terza fase, bisognerà attivare processi virtuosi di patrimonializzazione delle piccole imprese, considerato che se si sono indebitate non è stato per fare investimenti, ma per assicurare la sopravvivenza e la continuità operativa. Prolungare i tempi, cioè, sarebbe considerabile come un risveglio morbido da quella sorta di “coma” indotto nelle imprese dalla pandemia finanziaria”.

Tornando al quadro generale, la strada maestra per Orsini “è la ripartenza dell’economia e i fattori che potranno rilanciarla sono due: la vaccinazione di massa in tempi ragionevoli, che consenta di attenuare le restrizioni per puntare a un impatto positivo già a partire dal Pil del 2021, e un efficace progetto di Recovery Plan per finanziare ingenti investimenti e accelerare la loro implementazione”. Ma come canalizzare anche le risorse private verso le imprese? Orsini indica la necessità di incentivare, terminate le comprensibili timidezze del periodo pandemico, l’afflusso dei capitali di famiglie e investitori istituzionali alle PMI. Per questo occorre riprendere il percorso di rafforzamento dei canali di finanziamento per le imprese alternativi al credito bancario, generato dal 2010 grazie a mercati diversificati, dal private equity al venture capital e azionario AIM, e sull’emissione di debito non bancario.

Ma come si potranno convincere risparmiatori e investitori a fidarsi delle piccole aziende? “Il tema della governance è cruciale per l’accesso delle imprese ai mercati finanziari e dei capitali. Gli investitori chiedono alle imprese una guida solida e modelli organizzativi molto efficienti e capaci di presidiare i rischi, una comunicazione trasparente e un management competente nelle varie funzioni aziendali. Temi organizzativi ma anche culturali sui quali il nostro sistema ha fatto grandi progressi, anche grazie a formazione e affiancamento, agli incentivi per inserire dirigenti “a tempo” e a modelli di autodisciplina nella governance. La pandemia”, chiude il vicepresidente nazionale di Confindustria, “ha fatalmente rallentato questo percorso, ma abbiamo buone prospettive che possa riprendere con più vigore”.