(di Stefano Tenedini) “Pare” ci sia un esposto. Nessuno rivela di avere letto, però “viaggia veloce di bocca in bocca”. E sarebbe stato messo a disposizione di ministri e parlamentari, assessori regionali e mezzi di informazione, Consob e associazioni degli agricoltori. E anche delle Procure e della Corte dei Conti. Rigorosamente anonimo, il dossier ricostruirebbe la vera storia (almeno secondo chi lo ha compilato) dietro l’aggregazione dei consorzi agrari italiani che sta spaccando in verticale il mondo agricolo.

Si tratta di un’operazione economica, finanziaria e immobiliare il cui valore si aggira sui 2 miliardi. L’obiettivo è molto ambizioso. Prima di tutto raggruppare sotto un unico tetto i consorzi italiani, e poi suddividere ruoli, attività operative e patrimoni in due società. Una è CAI, Consorzi Agrari d’Italia SpA, che si occuperebbe della gestione dei servizi forniti dai consorzi e quindi di tutto il core business commerciale e produttivo. La seconda è una Srl che avrebbe lo stesso nome (con aggiunta di Real Estate nella ragione sociale) e l’incarico di governare l’ingente patrimonio immobiliare che adesso fa capo ai consorzi.

Ma cosa ci sarebbe di così bollente in questo dossier misterioso (“che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa”, direbbe Da Ponte per Mozart)? Di tutto. Nomi e cognomi, dettagli circostanziati con tanto di società, proprietà e relative quote intestate anche ai parenti e affini, di come tutto ruoti intorno pochi e ben definiti personaggi che ritroviamo da molti anni in numerose partite a mezza via tra politica, finanza e il mondo dell’associazionismo agricolo, spesso coinvolti in operazioni “di confine” più immobiliari che agricole, lontane dai compiti che in origine erano stati affidati ai consorzi. Insomma, un pentolone che sta ribollendo da molti mesi, da quando è stata lanciata l’idea dell’aggregazione.

Uno dei capisaldi dell’opposizione si trova proprio a Verona, dove già nella primavera 2020 il consiglio di amministrazione di Agrinordest aveva respinto al mittente l’accordo, sia pure con un solo voto di differenza. Una fronda tutta interna a Coldiretti, che può contare su 26 membri del CdA su 30 (oltre al presidente) lasciando a Confagricoltura solo quattro posti e nessuno a Cia. Non è uno stop da poco, considerato che Agrinordest è un riferimento per il settore. Creato da una solida alleanza tra i consorzi di Verona, Mantova, Brescia, Venezia, Padova e Rovigo, ha i bilanci in attivo e un giro d’affari che supera i 400 milioni, oltre a 150 milioni di patrimonio. A restar male per lo stop è innanzitutto il presidente Ettore Prandini, nella foto in alto, leader nazionale di Coldiretti nazionale e tra i più attivi supporter dell’aggregazione.

Che l’ipotesi di mettere a tutta questa ricchezza il cappello di CAI non raccolga l’unanimità dei pareri lo dimostra il malumore di diversi consorzi e associazioni del Triveneto. Se per il presidente veneto Cia Gianmichele Passarini in Coldiretti c’è una profonda spaccatura sul progetto, che “ha svariati profili di scarsa trasparenza” (la documentazione fornita sarebbe “scarna e inadeguata”), altrettanto irritato appare il presidente regionale Confagricoltura Lodovico Giustiniani, che si è lamentato pubblicamente di non aver ricevuto informazioni adeguate nemmeno come membro del cda del Consorzio Treviso-Belluno. Di qui la scelta di non dare parere favorevole perché nessuno gli ha mostrato un piano industriale, con la sensazione che si tratti di un contenitore finanziario dai dubbi vantaggi per gli agricoltori.

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Intanto, nonostante i malumori, il processo di approvazione va avanti. Attualmente al CAI hanno detto sì importanti consorzi di aree chiave come Emilia, Tirreno, Adriatico, Umbria, Nordovest (Liguria e Piemonte) e Centro Sud, oltre alla SCCA (Società Consortile Consorzi Agrari). A queste adesioni si sommano quelle (come detto contestate dai rappresentanti di Confagricoltura) di Treviso-Belluno e Friuli Venezia Giulia. L’elenco non sarebbe completo però senza citare Bonifiche Ferraresi, che gli autori del dossier ritengono il vero regista di tutta l’operazione. La società, oggi BF Spa, quotata in Borsa (sopra l’andamento del titolo negli ultimi due anni), ha quasi 150 anni e ospita nel libro soci il gotha della finanza italiana: grandi banche, investitori pubblici, nomi dell’industria e della logistica. È insomma proprio questo intreccio fra l’agricoltura, la finanza, l’immobiliare, il pubblico e il privato che ha fatto drizzare le orecchie a molti.

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Daniele Salvagno, nella foto qui sopra, presidente di Coldiretti Verona, ha chiarito in una recente dichiarazione che non ci sono tensioni ma la necessità di conoscere bene i dettagli prima di decidere, e che il progetto non deve fermarsi perché renderà il sistema più solido sul piano finanziario e permetterà di fare economie di scala e investire. Per confermare che c’è attenzione, ma non fronti opposti, ha sottolineato anche che per chiarezza l’operazione è stata spiegata di recente anche in Regione, confermando che quello che nascerà è “un polo di riferimento per lo sviluppo e la competitività agricola di fronte allo strapotere delle multinazionali”.

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“Come istituzione non possiamo sbilanciarci sulla bontà e o meno dell’operazione: è però nostro compito chiedere chiarezza”, conferma Marco Andreoli, veronese, nella foto qui sopra, presidente della III Commissione regionale che ha ospitato l’audizione. “Crediamo sia nell’interesse di tutti i Consorzi e associazioni di categoria potersi confrontare in campo neutro, con la massima trasparenza e fornire a ognuno gli elementi per costruire la propria opinione. È un periodo duro per la salute e l’economia: uno scenario in cui operazioni simili hanno un ruolo non trascurabile, in un futuro che sarà di ricostruzione. I Consorzi agrari veneti sono gioielli che proteggono con sapienza ed efficacia la ricchezza agraria del nostro territorio. Quindi è importante tutelarli, così come i loro dipendenti. E al centro di tutto dev’esserci un’idea di sviluppo e prosperità del tessuto rurale, un motore economico che caratterizza il Veneto”.