Chi ha figli ci passa o ci  è già passato,  e lo stress che accompagna l’esame di maturità  per un genitore è pari a quello sostenuto, a suo tempo, per superare questo rito di passaggio non si sa bene verso cosa dato che, in Italia, comunque i figli non se ne vanno praticamente mai di casa e che, come minimo,  per altri cinque anni bisognerà foraggiarli all’Università…Quindi, bene ha fatto il neo ministro alla Pubblica istruzione, Patrizio Bianchi,  a sciogliere un dubbio che stava diventando un tormentone: come si farà l’esame di maturità quest’anno? Con le vecchie regole, prova scritta e poi orale? Oppure la versione 2019, solo orale con tesina portata dal maturando?

Adesso almeno si sa che il prossimo 16 giugno ragazze e ragazzi ritroveranno una prova di maturità “temperata” dopo due anni scolastici pesantemente penalizzati dalla pandemia. Alla notizia, il mondo si è diviso fra favorevoli e contrari, come sempre. Il punto vero è però un altro: l’esame di maturità non è un dogma di fede, in altri anni, davanti a gravi emergenze (la Seconda guerra mondiale ad esempio) i maturandi sono stati promossi o bocciati guardando ai risultati dell’intero anno dato che il rischio di averli tutti assiepati in aula era maggiore rispetto al “pericolo” di avere un voto non perfettamente coincidente con quanto uno studente riusciva a dare in sede di esame (dove anche oggi può fare meglio o peggio del suo standard abituale, peraltro).

Il punto, brevemente,  è questo: invece di perdere settimane ad organizzare una Maturità che ha un valore “eccezionale”, il ministero può impiegare il suo tempo verificando il corretto funzionamento della didattica a distanza (una grande chance organizzativa e culturale che non va buttata via perché apre ad un ventaglio enorme di opportunità per una scuola moderna pensata per allievi che dovranno studiare per tutto il resto della loro vita professionale adulta) e per avere in aula a settembre un numero corretto di docenti, senza far perdere ore di lezione ai ragazzi avendo una seria organizzazione della scuola sin dal primo giorno dell’anno. Evitando la transumanza dei supplenti, degli insegnanti di sostegno, delle graduatorie farlocche e via dicendo… Era più saggio insomma verificare il reale livello di conoscenza attraverso una prova Invalsi che non buttare tempo ed energia per una maturità comunque “fuori norma”.

Come si fa nelle aziende: in tempi di crisi o caotici ci si ferma un attimo, si bloccano le uscite finanziarie e si guarda a come rendere più efficiente la macchina.  Quindi, bene il neo-ministro, sperando che non si fermi e che spinga per un rinnovamento più profondo del nostro sistema di istruzione.

La scuola, oltre a tutto, non è una fabbrica di diplomi: è una fabbrica di donne e uomini più maturi, consapevoli non tanto di quello che sanno ma soprattutto di quello che non sanno, della necessità di una formazione permanente, capaci di rispondere con nervi saldi agli imprevisti della vita attraverso la propria competenza ed esperienza. Il Covid ha rappresentato, in questo, una opportunità che ovviamente non è stata sfruttata appieno per dare una sterzata ad una macchina dal motore impallato che non è scattato in avanti nonostante le belle rotelle posizionate sotto ai banchi…