(di Stefano Tenedini) Una delle sezioni più importanti nella ricerca sulla “Verona possibile” con l’obiettivo di arrivare al 2040 più competitivi e attrattivi è come il sistema economico sta affrontando la crisi legata alla pandemia e come si sta preparando ai complessi scenari della ripresa. L’analisi voluta da Confindustria Verona e Ance Verona e curata dal Cresme prende avvio proprio dai pesantissimi colpi che il virus sta assestando anche alle economie più forti a livello globale, e si chiede come stiamo reagendo noi su un territorio efficiente ma gravato da storici rallentamenti, storture, inadeguatezze e tante opere incompiute. Su questo si innesta una preoccupante assenza di visione (politica, amministrativa e non solo) sulle strategie da mettere in campo, senza la quale sarà difficile ripartire. È esattamente il tipo di risveglio che Michele Bauli e Carlo Trestini vorrebbero mettere in moto.
Innescata dall’emergenza sanitaria, la pesante combinazione di crisi sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda sta trascinando le economie mondiali in una recessione che ha davvero dimensioni epocali. Già nella prima parte del 2020 i decreti per contenere le curve epidemiche hanno interrotto molte attività produttive: però in un sistema interconnesso a livello planetario la drastica rottura delle catene di valore non poteva non riflettersi su una produzione industriale composta di filiere complesse, compromettendo la normale ripresa operativa anche dopo l’allentamento delle misure di contenimento. È la conseguenza dello shock macroeconomico senza analogie, che possiede caratteri di simmetria (la pandemia è globale) e di asincronicità (la propagazione del virus avviene a ondate continentali).
Alla crisi dell’offerta si aggiungono il crollo della domanda aggregata, il calo dei redditi per il calo dell’occupazione, la ridotta fiducia delle imprese che impatta sugli investimenti e sui consumi, mentre un commercio internazionale già indebolito da guerre tariffarie, Brexit e Cina in frenata potrebbe generare una crisi di portata superiore a quella finanziaria di dieci anni fa. Ciò significa che difficilmente nel 2021 potremo immaginare di recuperare i livelli di attività perduti (servirebbe un improbabile +5/10% di Pil), oltretutto sempre contando su un’epidemia sotto controllo, altro fattore al momento non prevedibile. Verona e tutto il Paese si preparano quindi ad affrontare un altro anno incerto, e soprattutto a pianificare una ripartenza che rilanci i trend positivi dell’ultimo decennio. In queste sintesi, il Cresme ha sintetizzato quanto emerso dall’analisi macroeconomica, che ripercorre gli andamenti e individua i motori del sistema e i fattori strategici su cui investire nel medio lungo termine.
Tendenze recenti: nel corso degli ultimi cinque anni l’economia veronese è stata in grado di mantenere tassi di crescita superiori sia al dato nazionale che a quello regionale. Verona si posiziona infatti nei primi dieci posti per la crescita media nel periodo consolidato tra il 2012 e il 2017 e nel biennio successivo (tra il 2018 e il 2019) si è collocata inoltre al di sopra della maggior parte delle province del Nord, riconosciute come “la locomotiva d’Italia”.
Previsioni macroeconomiche: applicando un modello per le previsioni macroeconomiche sviluppato proprio dal Cresme, la ricerca effettuata per Confindustria Verona e Ance stima che la crisi sistemica legata alla pandemia potrebbe impattare sull’economia veronese con durezza, comportando però nel 2020 un calo del PIL pari a un 8,8% a valori correnti, entità più limitata rispetto a quanto atteso a livello medio nazionale (-10,2%) e regionale (-9,5%).
Produzione industriale: dopo un 2016 di rallentamento, nel corso del biennio successivo l’attività manifatturiera è cresciuta significativamente, sospinta dalla ripresa dell’economia globale e dal rafforzamento della domanda interna. Nel 2019 la produzione industriale si è indebolita, in linea con il trend nazionale. Nel 2020, gli effetti del primo lockdown si sono sentito soprattutto a partire dal secondo trimestre, con un calo della produzione pari a un 15,4%. Si tratta di un dato meno marcato rispetto al -25,9% registrato a livello nazionale.
Domanda estera: Verona si posiziona al decimo posto in Italia in termini di export totale: è un dato che testimonia la spiccata vocazione internazionale del tessuto economico locale. Negli ultimi cinque anni l’export provinciale è cresciuto senza soluzione di continuità e con performance superiori a quelle generali: +4% medio annuo contro +3,7% su basi nazionali. Il secondo trimestre del 2020, che ha risentito delle interruzioni produttive, si è chiuso con una performance delle vendite all’estero pari al -17,4%, un calo tutto sommato contenuto se confrontato con l’andamento riscontrato al livello nazionale (-27,8%).
I flussi di export: Verona corre il rischio di un’eccessiva concentrazione: ante 2020 l’export veronese si mostrava abbastanza concentrato a livello territoriale, considerato che due fra i principali partner assorbivano da soli circa un quarto di tutta la domanda estera made in Verona, la Germania (16,8%) e la Francia (9,8%). Ma il vero elemento di vulnerabilità resta la quota di export intercettata da Stati Uniti e Gran Bretagna (13%). Proprio Regno Unito e USA, assieme alla Cina, sono i mercati che hanno pagato più salato il Covid per il calo delle esportazioni nei primi sei mesi del 2020, con crolli superiori al 23/25% in valore.
L’agroindustriale all’estero: è stato grazie al risultato dell’agroalimentare che s’è generata nel 2020 una dinamica meno negativa rispetto al dato nazionale. I prodotti agroindustriali veronesi hanno infatti risentito di meno delle conseguenze del lockdown e costituiscono la quota maggiore delle esportazioni manifatturiere del territorio (oltre un quarto nel 2019), in prevalenza prodotti vitivinicoli e altre bevande, prodotti a base di carne (come salumi e altri preparati), latticini e prodotti da forno. Verona in tavola è sempre una garanzia!
Le costruzioni: il settore delle costruzioni rappresenta una quota significativa del tessuto imprenditoriale di Verona, pur avendo mostrato tra 2012 e 2018 dinamiche decisamente negative. In sette anni il numero di imprese delle costruzioni si è ridotto del 17% e inoltre si lamenta la perdita di quasi 2000 imprese, mentre del 14,7% è stato il calo degli addetti, 4.100 in meno. Un contesto di mercato mai tornato ai livelli pre-crisi ha indotto il sistema a una spiccata selezione, espellendo dal mercato le imprese non più in grado di sostenere maggiori livelli di concorrenza e adattarsi a una domanda fortemente riconfigurata.
Il marmo veronese: nel 2019 l’export di pietre lavorate, tra cui il famoso “marmo rosso” di Verona, si è attestato a circa 365 milioni, un dato peraltro in calo progressivo negli ultimi anni e proseguito anche nel primo semestre del 2020. Verona si mantiene in ogni caso al primo posto in Italia per valore dell’export, davanti a Massa Carrara con 329 milioni.