(di Stefano Tenedini) Le conferme ormai non mancano, ma vederlo messo nero su bianco fa sempre una certa impressione. La pandemia ha portato l’Italia alla recessione più grave del dopoguerra, con un calo del Pil dell’8,9% tra 2019 e 2020, produzione industriale giù dell’11,4% e fatturati di alcuni settori a picco. Per il Veneto la riduzione del Pil è stata pari al 9,3%. Ovviamente questa batosta non poteva non riflettersi sulla demografia d’impresa, la branca statistica che valuta natalità e mortalità delle unità produttive. E infatti l’ufficio statistico della Regione Veneto ha rilevato nel report appena diffuso che le imprese attive a fine 2020 erano poco meno di 428 mila, in calo dello 0,6% dal 2019, con un’emorragia di aziende più accentuata nel commercio (-1,8%), manifatturiero (-1,7%), trasporti e logistica (-1,4%), agricoltura (-1,2%), alloggio e ristorazione (-0,8%).
Nel confronto 2020/2019 le iscrizioni sono in calo in tutti i periodi, con il picco negativo del secondo trimestre (-40,4% sullo stesso intervallo del 2019). Nessuno o quasi ha aperto una società nei trasporti, nel turismo, nella manifattura e nel commercio. Nonostante i segnali di tempesta in atto, gli imprenditori veneti hanno tenuto duro con le unghie e con i denti: le cessazioni infatti si sono accentuate solo nell’ultimo trimestre 2020. Ma è ancora presto per tirare le somme: solo nei prossimi trimestri vedremo i veri effetti della crisi. Un valido supporto statistico è arrivato anche dall’Istat, che ha analizzato i dati dell’autunno in piena seconda ondata. Del campione di aziende venete interpellate il 72,4% ha detto di essere in piena attività, il 20,8% parzialmente aperte, ma con attività in condizioni limitate per spazi, orari e accesso della clientela. Il 6% ha affermato di essere chiusa ma di essere pronta alla riapertura, e solo meno dell’1% era chiusa e non prevede di riaprire. Il 68% delle imprese venete dichiarava riduzione di fatturato tra giugno e ottobre rispetto al 2019: nel 10,6% dei casi il fatturato è diminuito meno del 10%, nel 44,1% dei casi invece si è ridotto tra il 10% e il 50% e nel 13,3% si è più che dimezzato.
Anche qui ha alzato bandiera bianca una piccola quota di imprese, pari al 2,1% che non ha fatturato affatto. E c’è anche un 30% di imprese che ha segnalato un fatturato stabile o addirittura in aumento. Ma tra le buone notizie (beh, buone: accettabili) va detto anche che la pandemia e il lockdown hanno fornito un forte impulso alla trasformazione digitale. È aumentata la connettività a banda ultra-larga, dal 41 a oltre il 53% delle imprese, e la connessione in mobilità è salita dal 36 al 47%. Una migliore connettività che ha motivato le aziende a investire in servizi digitali per la vendita di beni e servizi, ponendo le basi per un’espansione dell’e-commerce. Particolarmente positivo il canale digitale, che in un anno è decollato passando dal 10,2 al 17,4% delle imprese venete, anche le più piccole. Le Pmi procedono quindi verso l’obiettivo di colmare il gap tecnologico che spesso le rallenta.
Ma l’emergenza sanitaria e la conseguente crisi economica hanno comportato notevoli difficoltà per l’intero sistema produttivo veneto: i piani di sviluppo di breve periodo sono risultati infatti compromessi per oltre tre imprese su quattro. La riduzione della domanda domestica è il primo ambito in cui le imprese venete dichiarano di riscontrare criticità tali da compromettere i piani di sviluppo fino a giugno 2021 (40,4% di imprese); la contrazione delle vendite sui mercati esteri rappresenta una criticità per il 14,2% delle imprese, in una combinazione di riduzione della domanda, aumento sia dei costi di logistica e trasporti che rincaro dei prezzi. La necessità di liquidità compromette i piani di sviluppo a breve periodo per il 27,4% delle imprese venete e dal punto di vista settoriale il problema è decisamente rilevante per le attività interessate dalle chiusure imposte dalle misure anti-Covid. L’11,7% delle imprese ha dichiarato difficoltà di interpretazione e applicazione dei provvedimenti.
La spesa per investimenti nel secondo semestre del 2020 ha subito una sensibile riduzione sullo stesso periodo del 2019 per il 27,6% delle imprese venete; rimane in linea con l’anno precedente il 26,4% e aumenta per il 7,4%. L’area di investimento sul capitale umano e la formazione è quella che sembra subire maggiormente i rallentamenti, mentre l’area della tecnologia e della digitalizzazione – in linea con la crescita dei supporti digitali – è quella in cui gli investimenti continuano a crescere. Per concludere con le prime sommarie ipotesi sul 2021, il 61,8% delle imprese venete prevede una riduzione del fatturato già tra il mese di dicembre 2020 e il febbraio 2021 rispetto al 2019: per 6 aziende su 100 il fatturato è in calo per meno del 10%, nel 40,6% dei casi il fatturato dovrebbe ridursi tra il 10% e il 50% e nel 15,1% dovrebbe più che dimezzarsi. Teme di restare a zero il 4,2% delle imprese, ma il 17,7% prevede invece di non subire variazioni di fatturato o addirittura di aumentarlo.