(s.t.) Le zone arancioni potranno anche diventare gialle tra qualche giorno e la vita (anche quella economica) pian piano riprendersi, ma nel primo trimestre 2021 in Veneto il lavoro è ancora in frenata. E Verona soffre soprattutto per la crisi verticale del turismo, mentre il settore industriale mostra qualche parziale segnale di ripresa, seppure decisamente sotto la soglia della tranquillità per i lavoratori. Tra gennaio e marzo, secondo le rilevazioni della “Bussola”, il periodico report di Veneto Lavoro, si è registrato un calo delle assunzioni pari al 17% rispetto al 2020 e del 31% sul 2019, nonostante il saldo trimestrale positivo. Colpiti duramente sono in tutta la regione il turismo e il commercio, a causa delle restrizioni per il Covid. Il saldo occupazionale del periodo gennaio-marzo (l’indagine si è chiusa il 6 aprile) è stato positivo per circa 29 mila posizioni di lavoro dipendente, un risultato molto migliore rispetto a quello del 2020 (+18.169), che scontava l’emorragia di posti di lavoro registrata a marzo con l’avvio del lockdown, ma ancora molto lontano ai livelli 2019 (+44.411).
Il confronto più significativo per cogliere le tendenze è quello con le assunzioni. Il bilancio del primo trimestre è stato positivo per i contratti a tempo determinato (+24 mila) e gli indeterminati (+5.400), mentre per l’apprendistato è di poco negativo (-700). La dinamica è negativa per tutti sui due anni precedenti, in particolare per gli indeterminati. Il turismo ha perso il -75% sul 2019 e il -60% sul 2020, il commercio rispettivamente -34% e -23%. Il lockdown ha colpito il Veneto quando aveva recuperato completamente i danni della crisi del 2008 (dal 2017 si era tornati ai livelli pre-crisi, con nuovi massimi nel 2019): un anno fa la caduta è stata severa, tanto da azzerare la ripresa già a giugno (-44 mila unità) per poi recuperare verso fine anno. A marzo 2021 abbiamo rivisto le posizioni dell’anno scorso.
L’andamento tendenziale mostra traiettorie differenti: gli indeterminati, protetti da cassa integrazione e divieti di licenziamento, hanno segnato cali costanti ma contenuti e si sono confermati positivi nonostante assunzioni in flessione (nel primo trimestre -22% sul 2020); l’apprendistato è in lenta, modesta e progressiva contrazione (con un -13%); sui contratti a termine si è invece scaricato tutto il peso dei lockdown, con una caduta verticale a maggio e giugno seguita da un parziale recupero, finito però a novembre. A febbraio la flessione è diventata un modesto recupero, ma solo perché il 2020 è stato un buco nero. Per quanto riguarda le caratteristiche dei soggetti coinvolti nel mercato del lavoro, le più penalizzate sono state anche nel primo trimestre le donne (-22% sul 2020, con un -13% degli uomini), mentre la nazionalità vede più sfavoriti gli italiani (-17% contro -15% degli stranieri). Per le età pagano i giovani e le età centrali (-18%), mentre i senior si fermano a un -12%.
La lettura a livello territoriale conferma con evidenza come la maggior parte del lavoro sia andato perso nelle province a elevata propensione turistica come Verona e Venezia. Nel primo trimestre il saldo è positivo ovunque, ma rimane forte la flessione della domanda di lavoro (minimo a Rovigo -1%, massimo a Venezia -38%) e in crescita appare solo Belluno. L’analisi settoriale evidenzia come la flessione occupazionale sia concentrata soprattutto nei settori colpiti dalle restrizioni (sempre turismo e commercio, con -60% e -23%) ma non abbia risparmiato anche quelli industriali, a dimostrazione che il blocco dei licenziamenti ha ingessato il mercato. Emerge comunque un saldo occupazionale del settore turistico meno negativo dell’analogo periodo dell’anno precedente, durante il quale è avvenuto lo shock, così come risultano migliori le performance di settori come costruzioni, commercio all’ingrosso e prodotti in metallo. La stagionalità di questo periodo traina l’agricoltura.
Le dichiarazioni di disoccupazione nel primo trimestre 2021 sono state 25.800, -12% sullo stesso periodo del 2020, sempre per cause legate alla pandemia: i lockdown, le difficoltà di spostamento e gli uffici pubblici chiusi; lo scoraggiamento tipico delle crisi economiche, che riduce la ricerca del lavoro; e il blocco dei licenziamenti che ha irrigidito le entrate e le uscite dal mercato del lavoro. Le donne si confermano le più colpite (col 54,7% del totale) ma con una variazione tendenziale inferiore rispetto agli uomini (il -11% contro -13%); gli stranieri si confermano attorno al 26% con un trend della disoccupazione nella media. In termini di età si segnalano più giovani, che valgono il 35% del totale e si dichiarano senza lavoro al -7% contro il -18% degli adulti. Sul territorio, tutte le province segnano un calo dei flussi in uscita rispetto al 2020: il massimo è a Venezia (-18,5%) e il minimo è a Vicenza (-5,3%). Chi si dichiara oggi disoccupato aveva un contratto a tempo indeterminato nel 15% dei casi, era apprendista nel 5%, a tempo determinato per il 41% o era un lavoratore domestico nel il 9% dei casi. A questi si aggiungono le categorie degli intermittenti, parasubordinati, somministrati e le persone che non rientrano in alcuna categoria.