Il Mare del Nord racchiude petrolio greggio; il Mediterraneo il risparmio degli Italiani. Sono entrambe materie prime, necessarie per la crescita economica. Ma il Brent alimenta il Fondo Sovrano Norvegese, invece i quasi 2mila miliardi (più 10% nell’anno della pandemia) dormienti degli Italiani nelle banche non alimentano nulla. Anzi, sono diventati un peso. E fra pochi giorni gli Italiani ci pagheranno sopra pure delle spese. Uno spreco cui bisogna porre fine. Così Massimo Ferro, già enfant prodige della politica veronese, oggi senatore per Forza Italia, rilancia la proposta di istituire un Fondo Sovrano Italiano che possa essere una alternativa seria, credibile, al materasso-cassaforte dei risparmiatori. Un Fondo che possa mettere in moto in fretta questa massa di risparmio che va investita in grandi progetti per garantire ai nostri figli e nipoti i vantaggi della parsimonia privata di questo Paese.
Un’operazione, in fondo, win-win: gli oltre 4mila miliardi della ricchezza privata italiana (suppergiù il 270% del PIL e quasi il doppio del debito pubblico) potrebbero confluire nel Fondo. O almeno, un buon 35% che rappresenta la quota di Italiani disposti ad investire nella dotazione infrastrutturale del Paese. Se guardiamo solo ai fondi in banca, il 35% sono quasi 700 miliardi, tre volte il Recovery fund. E per portarli nel Fondo Sovrano basterebbe garantire i benefici fiscali già previsti per i PIR (Piani individuali di risparmio): cioè l’esenzione fiscale per 5 anni entro un tetto di 150mila euro.
«In dichiarazione di voto al DEF ho dichiarato proprio questo – sottolinea Ferro -. I soldi che crescono in banca significano due cose: la riduzione dei consumi (ovvio, abbiamo chiuso in casa gli Italiani per un anno) da un lato e la parsimonia e la capacità di risparmio di famiglie e imprese dall’altro. Ora, in un momento come questo avere una forza come questa immobile e non metterla in gioco è un errore grave. Per questo ho proposto la costituzione di un Fondo Sovrano Italiano che possa intercettare anche una percentuale minima di questi fondi; pensate a cosa potremmo fare con questi soldi se gestiti da professionisti seri e preparati come ce ne sono in Italia. Sarebbe una spinta di gran lunga superiore a quella fornita dall’Europa. Capisco che parliamo di un sogno, ma abbiamo pensato ad un sistema molto semplice, agile, che garantisca una rendita ai risparmiatori. Oggi le banche stanno iniziando a far pagare le giacenze dei conti correnti. E’ evidente che quei soldi bisogna cominciare a muoverli ad investirli nell’economia».
Massimo Ferro è stato intervistato da Matteo Scolari e Beppe Giuliano a VeronaLive, su RadioAdigeTV, alla vigilia della nuova settimana della finanza veronese che si svolgerà in formato digitale.
Un Fondo sovrano a Verona, più piccolo, in realtà ci sarebbe, la Fondazione CariVerona ad esempio, cui si potrebbe aggiungere il miliardo e mezzo di euro delle partecipazioni del Comune di Verona in società multiservizi o infrastrutturali: «Certamente – chiosa Ferro – è un patrimonio che può essere leva. Ma se noi individuiamo nel campanile queste tematiche perdiamo: o Verona si sprovincializza, gioca un ruolo di capogruppo di altre realtà contermini, allora possiamo pensare di governare alcuni processi ed avere una funzione-guida. Altrimenti ripetiamo l’utopia del polo finanziario che doveva sorgere in contrapposizione e non in sinergia con Milano: l’idea faceva sorridere già allora e i risultati sono sotto gli occhi di tutti… Così vanno valutati anche gli aumenti di capitale delle società veronesi: se non c’ è un vero e serio business-plan, rischiamo di buttare soldi in un pozzo senza ottenere risultati. Così, non servono a nulla. Vale per la Fiera, ma anche per il Catullo: più che soldi per l’infrastruttura, bisogna investire sulle compagnie aeree perché se tu non hai gli aerei puoi avere l’aeroporto più bello del mondo, ma resterà sempre vuoto. Rischiamo di fare un cattedrale nel deserto. Un esempio solo: Montichiari, era la base fra Milano e Venezia scelta inizialmente da Ryanair: per non aver avuto il coraggio di investire un miliardo e mezzo di lire per sostenere commercialmente la compagnia irlandese abbiamo perso la nostra grande occasione. Ryanair, alla fine, ha scelto Bergamo che inizialmente non aveva minimamente considerato. Pensate che la stessa aerostazione di Montichiari venne realizzata seguendo il layout suggerito da Ryanair. Allora avevamo visto lungo, ma non fummo capiti».