(di Angelo Paratico) La sua voce inconfondibile ha accompagnato per un anno le mie solitarie traversate del Ponte Scaligero, di mattina, camminando verso l’ufficio, durante il tempo della chiusura forzata. Lui stava sempre seduto a suonare la chitarra, sotto all’arco di quel bel ponte. Sempre lì, con grandine, pioggia e nebbia. Con la custodia della chitarra aperta di fianco, con i suoi CD in vendita. Il suo sorriso sempre indomito e quella voce che interpreta le nostre povere vite. Aveva ragione Rilke, il nostro mondo esiste perché c’è un poeta che lo canta. Si chiama Claudio Romano, classe 1969, veronese purosangue e fa l’artista di strada da vent’anni. Per una volta tanto mi fermo per parlargli. Siamo solo nei due, smette di cantare e mi guarda, sorridendo incuriosito.
-Claudio posso parlarti?
-Certamente, sì. Non mi parla mai nessuno, non passa nessuno.
-Hai sempre fatto il menestrello?
Ho suonato in varie città Italiane, la gran parte della mia attività l’ho svolta a Venezia, e negli ultimi anni nella mia città natale, Verona. Volevo scrivere della vita, e volevo musicarla, ed è quello che ho fatto. Non mi posso lamentare. Da giovane suonavo nei locali di Verona e provincia con la mia rock & roll band, poi ci siamo sciolti, ho fatto qualche serata da solo, poi ho mollato.
-Sempre con la chitarra?
Prima era una passione, ora è tutto. Ho scritto anche tre raccolte di poesia, un romanzo, e ho pubblicato sei dischi. Prima del 2001 ho anche lavorato nel campo della grafica come stampatore su un torchio, e poi nel campo metalmeccanico come magazziniere, portavo il carrello elevatore e il carro-ponte a braccio singolo e doppio. Poi ho scelto di essere libero, e di vivere a modo mio. Sono uno spirito anarchico…
Fai anche altro?
Da un anno e mezzo a questa parte lavoro anche per lo Studio Ventisette, un’agenzia di marketing che fornisce musicisti per le cerimonie di unione civile nell’ambito di “Sposami a Verona”, su iniziativa del Comune di Verona. Matrimoni celebrati a palazzo Barbieri, al palazzo della Ragione, al Museo degli Affreschi, alla casa di Giulietta e Romeo. Ma la pandemia mi ha distrutto, perciò non so per quanto ancora riuscirò a vivere così. Non c’è più spazio e non è più il tempo di fare arte di strada. L’era dei menestrelli sta tramontando per sempre, caro mio, ci vorrebbe un nuovo Cangrande della Scala. Qui sul ponte sono abusivo, dal momento che l’autorizzazione che faccio ogni mese non contempla il ponte di Castelvecchio, e se vado a suonare nei posti dove si può, allora non si guadagna nulla!
E con il Covid? Perché dici che ti ha distrutto, non ti hanno pagato una compensazione?
Nulla di nulla. Ora ho fatto domanda per il reddito di emergenza. Come artista di strada non mi spetta nulla, perché non viene considerato un lavoro. Dell’arte si strada non frega nulla a nessuno e in Italia, onestamente, manca la giusta mentalità. Mi daranno il reddito di emergenza perché risulto disoccupato e in difficoltà economica. Poi chiederò anche il reddito di cittadinanza, sempre che nel frattempo non trovi un lavoro in regola. Mi sono iscritto alla agenzia interinale, e a maggio farò un piccolo corso per prendere il patentino per usare il carrello elevatore, anche se hai miei tempi non occorreva, ora sì. Come artista di strada sono finito, e buonanotte a tutti!
Riprende la chitarra e intona una nuova canzone, la sento mentre mi allontano, è Povera Patria, di Battiato.