(di Stefano Tenedini) A Roma la campagna elettorale è già bollente, come il malumore dei cittadini che monta da anni. I problemi sono tanti e così gravi che i candidati dovrebbero essere per strada da mesi a sfidarsi sulle buche, i cinghiali, la “monnezza”, gli autobus. Ma la sensazione è che in giro ci sia solo Carlo Calenda, e gli altri siano più impegnati a fare le primarie o a scegliere i candidati o a giustificarsi di ciò che non hanno fatto in questi anni. A Verona c’è ancora tempo prima che i giochi elettorali si facciano seri, ma qualche segnale lo si è già raccolto, per quanto ancora abbastanza sotto traccia. Chi, su che basi, con che programma e alleanze sfiderà il sindaco uscente Federico Sboarina? E soprattutto, con che visione di Verona per il futuro, un tema chiave di cui non si parla mai abbastanza? Visto l’attivismo di Calenda a Roma lo chiediamo proprio a chi nel suo partito si dice pronto a mettersi …in azione.
Marco Wallner, coordinatore di Azione Verona, il raggruppamento territoriale del partito guidato a livello nazionale dall’ex ministro. La vostra carta d’identità, per cominciare: chi siete e da dove venite, in politica e nelle professioni? Che cosa vi ha spinto a farvi avanti?
Azione a Verona è nata un anno e mezzo fa, appena Calenda ha fondato il movimento. Gli iscritti a Verona oggi sono più di 300, quasi tutti provenienti dalla società civile: impiegati, medici, professionisti, imprenditori. Tantissimi i giovani, tanto che abbiamo creato anche una sezione under 30. E sono persone che sono sempre rimaste fuori dalla politica attiva, concentrandosi sulla professione e sulla famiglia, ma che ora, vedendo il costante declino della classe dirigente del nostro Paese, sentono il bisogno di impegnarsi più direttamente, anche per restituire al Paese un po’ di quello che sono riuscite a costruire nella carriera. Da estranee alla vecchia politica, vogliono portare un approccio nuovo e pragmatico.
Oltre la spinta ideale un partito è fatto anche di organizzazione. Come intendete fare per “mettere a terra” le proposte e farle diventare azioni?
Intanto anche la presenza di tanti giovani, alcuni poco più che maggiorenni, dice che Azione è considerata un movimento nuovo, fresco, lontano da posizioni ideologiche che sanno ormai di stantìo. Siamo concentrati invece su idee, progetti e iniziative concrete. Per questo abbiamo creato dei tavoli di lavoro, una sorta di centro studi utile a raccogliere professionalità e competenze specifiche sui vari temi, in modo che possano elaborare proposte programmatiche per la città. Ne fanno parte professionisti come Federico Lugoboni, ex presidente della Camera penale, Anna Ferrari, Giancarlo Montagnoli, sindacalista ed ex assessore alle Partecipate nella giunta Zanotto, manager come Flavio Buglioli e imprenditori come Federico Zanardi. E gli under 30 li coordina Ilaria Milani, una giovane professionista esperta di formazione e gestione delle risorse umane.
Oggi la politica è tropo spesso solo slogan senza niente dietro. Le chiedo comunque di sintetizzare in una frase il senso di Azione… ma poi anche di spiegarlo.
Sono d’accordo, in generale. Infatti Azione non è un partito di slogan o frasi fatte, perché noi ci dedichiamo ai contenuti: rifuggiamo dalle sterili contrapposizioni destra-sinistra, o dalle semplificazioni tipo porti chiusi-porti aperti, che dimostrano il tentativo di politici impreparati e pavidi di nascondersi dietro le ideologie per non rispondere delle proprie azioni e della propria incapacità. Una frase che secondo me ci rappresenta molto bene è questa: “L’Italia è più forte di chi la vuole debole”. Siamo un Paese stupendo, con risorse incredibili e potenzialità illimitate, che però da troppo tempo è stato lasciato in mano a persone non preparate e senza visione strategica che lo hanno lasciato regredire, perché proprio nella mediocrità trovavano la loro ragion d’essere. Secondo noi è il momento che le forze della società civile si mettano in gioco per arrestare il declino e invertire la marcia.
E veniamo allora a Verona. Ai cittadini piacerebbe una campagna giocata sulla visione del futuro. Voi come la vedete tra 20 o 30 anni? Con che rischi, opportunità, urgenze?
Verona purtroppo presenta moltissimi dei problemi che affliggono tutto il Paese: c‘è una mancanza di visione strategica e di managerialità, e non si vede nemmeno il coraggio di prendere decisioni capaci di scardinare vecchie rendite di posizione e lo status quo che avvantaggia solo i soliti pochi – e noti. Nei primi anni 2000 Verona tallonava Milano e si candidava al titolo di polo finanziario del Nord Est, mentre oggi di quello splendore non è rimasto quasi più nulla, come dimostra la recente Opa di Generali su Cattolica, che ne è l’ennesimo segnale. Ma dobbiamo anche uscire dal concetto consolatorio che “tanto va male a tutti e comunque Verona è una città ricca”: non è più così. Anche escludendo il 2020, che è stato devastato dalla pandemia, vediamo che negli anni dal 2017 al 2019 il saldo netto tra imprese aperte e imprese chiuse, nei tre settori chiave dell’industria, agricoltura e costruzioni, era negativo per quasi mille aziende, secondo i dati della Camera di commercio. E questi sono tutti posti di lavoro persi: per noi e per i nostri figli.
Anche perché non possiamo attribuire solo a cause esterne la responsabilità di questo declino. Non c’è solo Cattolica, che pure è un caso emblematico.
Infatti. Entriamo nell’ordine di idee che se va avanti così Verona non resterà ancora a lungo una città ricca… E non è vero che tutti vanno male: senza scomodare Milano, prendiamo come esempio Bologna, che negli ultimi anni ha saputo sfruttare bene i fondi strutturali italiani ed europei, grazie a una collaborazione virtuosa tra Comune e Regione, attirando oltre 100 milioni di fondi e creando più di 1400 posti di lavoro altamente qualificati. Noi ci riempiamo la bocca di turismo, sottolineando quanto è fondamentale, però poi lasciamo che un asset fondamentale come l’aeroporto Catullo sia lasciato in mano a SAVE che lo ha progressivamente svuotato, nonostante la maggioranza relativa del capitale resti in mano ai soci pubblici. Che avrebbero dovuto vigilare. Basta un solo esempio per spiegare quanto poco si è fatto: a metà degli anni 2000 l’aeroporto di Verona e quello di Bergamo avevano più o meno gli stessi passeggeri, circa 3 milioni. Ma a fine 2019, quindi prima ancora della pandemia, Verona era rimasta a 3,9 milioni di viaggiatori, cioè sostanzialmente ferma, mentre Bergamo era balzata a 14 milioni. Quindi fare meglio si può, e in quest’ottica è probabilmente il caso di riportare in mano pubblica le quote oggi detenute da SAVE.
Verona è – o comunque appare – ferma e impoverita su molti fronti: economia, politica, decisioni, progetti, classe dirigente. Come si riparte?
Noi vogliamo che torni a essere una città moderna e organizzata, capofila di uno dei comprensori più ricchi d’Italia da Verona a Trento, Mantova, Brescia e Vicenza, con un sistema infrastrutturale integrato che si fondi su una Fiera proiettata nel futuro e nelle nuovo tecnologie, con un aeroporto che sia snodo interscambiabile tra aerei, treni, bus e macchine, con una multiutility come AGSM liberata dalle paludi della politica e pronta a fare un salto dimensionale per diventare un grande player nazionale. Invece, aggiungo, di rimanere come oggi ferma in attesa di non si sa cosa, con il rischio di finire poi preda di altri.
Una visione che per non restare un libro dei sogni infranti ha bisogno di leader preparati.
Esattamente. Dobbiamo sapere chi e che cosa vogliamo essere. Infatti è un progetto che passa anche da un tessuto industriale ampio e diversificato, adeguatamente sostenuto da incentivi pubblici per la riqualificazione delle aree degradate e lo sviluppo delle start up: Verona non è e non può essere solo una San Gimignano più grande. E se il turismo è una risorsa fondamentale, Verona deve tornare a essere anche un grande centro produttivo, industriale e finanziario, come è sempre stato in passato. Ma fino a che non ci renderemo conto che per portare a termine un compito così impegnativo ci vogliono amministratori capaci, competenti e dotati di visione strategica, non potremo arrestare questo declino che affligge la nostra città. E invece qui continuiamo a votare persone che non saprebbero gestire neanche un piccolo esercizio commerciale.
Torniamo per finire ad Azione come partito nazionale: non temete che sia identificato solo con Calenda e non con voi sul territorio, soprattutto adesso che corre per Roma?
Azione è stata fondata da Carlo Calenda e da Matteo Richetti, ed è normale che ad oggi il partito sia identificato con loro. Per fortuna, tra l’altro, essendo politici onesti, competenti e stimati. Però non vuol dire che a livello territoriale non abbiamo una nostra identità e autonomia: grazie, come ho detto, ai tanti iscritti e simpatizzanti che si avvicinano a noi ogni giorno. In questi mesi abbiamo lavorato molto sul territorio, aprendo nuovi gruppi, che sono quelli che nei partiti tradizionali venivano chiamati circoli o sezioni. Ne abbiamo a San Giovanni Lupatoto, Oppeano, Nogara e Grezzana, e ci presenteremo con i nostri candidati alle amministrative in questi comuni. Cerchiamo di far sentire forte la nostra voce sui temi più critici per la città, e saremo senz’altro pronti per le elezioni comunali del 2022. Siamo fiduciosi che Calenda possa ottenere grandi risultati a Roma, e non solo perché la capitale ha un disperato bisogno di una nuova amministrazione, ma anche perché questo farà da volano a tutto il movimento in Italia.