(di Nuccio Carrara*) In piena era pandemica, mentre avanzano le prove tecniche di dittatura sanitaria e vaccinale, con annessa campagna terroristica, e mentre le varianti stanno scorrendo le lettere dell’alfabeto greco, in Italia ci si appassiona per le fibrillazioni del Movimento Cinque Stelle in piena crisi esistenziale ancor prima che politica. Tutti i media ci tengono informati sulla sceneggiata a cinque stelle che ha come protagonisti Giuseppe Conte e Beppe Grillo. Come si sa, il comico genovese, lanciatosi rocambolescamente in politica, ci ha abituasti a tutte le capriole possibili spacciate per atteggiamenti “visionari”. Cominciò issando il vessillo del “vaffa” e dispensando a destra e a manca badilate di letame al grido di “onestà-onestà-onestà”.
Il turpiloquio, la volgarità e la denigrazione sistematica, senza se e senza ma, dell’avversario politico, divennero il nutrimento quotidiano di un movimento di famelici «onesti fanculisti» assetati di sputtanamento. Nacque così il Movimento Cinque Stelle, da un rigurgito di parolacce e flatulenze verbali che servirono a reclutare il meglio dell’antipolitica, spacciata per democrazia diretta «dove uno vale uno», dando vita ad un “Non-partito”, dotato di un “Non-Statuto”, orgogliosamente privo di sedi territoriali, di cassa e di tesoriere. Per farla breve, in pochi anni gli “onesti” s’insediarono nelle stanze del potere ed in quel parlamento nazionale che avrebbero dovuto aprire come una scatoletta di tonno. Naturalmente l’appetito vien mangiando ed aperta la scatoletta si sentirono attratti dal profumo del tonno e decisero di assaggiarlo. Fu trovato ottimo ed abbondante, ma per averne di più bisognava andare al governo.
Le loro narici non avvertirono più il lezzo emanato dai partiti tradizionali
E fu così che dopo essere diventati partito di maggioranza relativa nelle elezioni del 2018, le loro narici non avvertirono più il lezzo emanato dai partiti tradizionali, con i quali fino a quel momento era stato severamente vietato il dialogo. Si cimentarono, quindi, con il primo governo Conte, l’avvocato foggiano con la pochette da loro scelto e imposto, facendo alleanza con l’odiata Lega di Salvini.
Non poteva mancare l’abbuffata di ministri e sottosegretari variamente assortiti, ma tutti indiscutibilmente “onesti fanculisti” e meravigliosamente incompetenti. Le cose andarono come andarono, cioè male, fin quando Salvini schizzato nei sondaggi per la sua politica di contenimento dell’immigrazione clandestina, fu colto dal virus di onnipotenza e pensò bene di tentare la strada delle elezioni anticipate, per far fuori in sol colpo gli alleati di governo e gli avversari del centrosinistra. La banda degli “onesti fanculisti”, grazie al multiforme ingegno del suo guru, corse ai ripari e virò a 180 gradi facendo alleanza con l’odiatissimo partito di Bibiano, il partito dei “disonesti” per eccellenza: il Pd di Zingaretti. A Conte, cui fu riconfermato il ruolo di direttore d’orchestra, toccò il compito di suonare un nuovo spartito musicale, ovviamente anche stavolta scritto da altri. Ma non c’è due senza tre. Quando Renzi, contaminato da virus grillesco, decise di togliere la fiducia al secondo governo Conte, il partito degli “onesti fanculisti”, visse drammi inenarrabili. Ma dopo l’avversione dei duri e puri e le contorsioni di rito, alla fine si adeguò a sostenere il nuovo governo guidato da Draghi, non più visto come bankster , criminale finanziario, ma addirittura come “grillino”.
Draghi, banchiere di Dio o grillino?
È tipico dei profeti far credere nei miracoli e alla fine Grillo, che lo definiva «una Mary Poppins un po’ suonata», colpito dalla folgore divina sentenziò: «che sorpresa: mi aspettavo un banchiere di Dio e ho trovato un grillino». Adesso si è alla vigilia della resa dei conti sotto forma di scontro simil-titanico tra l’ex Presidente del Consiglio Conte, al momento disoccupato, ed il padre padrone del movimento, formalmente ancora “garante”. Il divorzio è annunciato e rinviato a giorni alterni, le mediazioni si spingono fino allo sfinimento sfociando nella comicità involontaria di un Di Maio che vorrebbe «far ripartire questo progetto, che esiste da dieci anni e ha dato tre governi a questo paese». Ovviamente gli sfugge che tre governi, disomogenei e antitetici, non possono che corrispondere a progetti diversi e confliggenti.
Neppure il suo capo non trova assurdo e offensivo per gli italiani l’averci regalato due governi guidati da un tale definito «senza visione politica», praticamente un incapace.
È fin troppo chiaro che Giuseppe Conte non vuole tornare a fare l’avvocato e Beppe Grillo non vuole tornare a fare il comico: entrambi hanno bisogno di un partito e provano a contendersi le spoglie di quel che è rimasto del Movimento 5 Stelle. I 227 deputati eletti nel 2018 si sono ridotti a 161 e i 112 senatori sono scesi a 75: un’emorragia senza precedenti. I commentatori si sforzano di capire le ragioni politiche del dissenso tra i due, come se un movimento nato dall’antipolitica fine a se stessa fosse in grado di pensare e agire secondo le categorie della politica.
M5S, la lotta per la sopravvivenza
Più verosimilmente è in atto una disperata lotta per la sopravvivenza, nella quale Grillo cerca di mantenere il controllo della sua creatura per continuare a giocare a guardia e ladri, e l’altro cerca di prenotare un posto in parlamento per sé e per i propri amici al prossimo turno elettorale. Comunque vada, la farsa si concluderà con una sconfitta per entrambi, schiacciati dalle loro contraddizioni funambolesche e dal disincanto dei loro vecchi seguaci.
I Cinque stelle sono nati senza avere a monte una cultura politica, una visione del mondo in grado di indirizzarne le scelte e renderle coerenti non solo con obiettivi immediati, ma anche con un programma ed una strategia di medio e lungo termine.
Alla fine hanno vinto l’egoismo, la voglia di potere, lo spirito di sopravvivenza: gli “onesti fanculisti” hanno accettato tutto e il contrario di tutto pur di continuare a galleggiare nella palude maleodorante della politica italiana. Ma la fine è vicina e tra non molto sentiremo l’annuncio liberatorio: la farsa è finita, andate in pace. (*già deputato e sottosegretario alle riforme istituzionali