Fosse per lui l’Italia non conoscerebbe la crisi demografica. 68 anni, 9 figli, di cui 3 negli ultimi quattro anni con la giovane moglie Ilaria Filippi, Marco Benatti è uno che alla famiglia ci crede e adesso che è tornato nella sua Verona da Milano, dove ha vissuto per quarant’anni inanellando un successo dietro l’altro, ha anche il tempo di dedicarcisi. E’ uno dei massimi esperti di comunicazione e innovazione digitale in Italia. Ha messo in piedi le prime emittenti private (Novaradio, TeleNuovo, Telearena ) e sempre in anticipo sui tempi ha colto fra i primi l’importanza del web ed ha fondato Virgilio, il primo motore di ricerca italiano e poi, via via, fino a costituire la Fullsix, una grande realtà quotata alla borsa di Milano nel campo dei servizi digitali. Ha gestito per 4 anni come country manager le oltre 35 società di comunicazione del gruppo WPP, il più grande gruppo di comunicazione al mondo. Ora è uscito da tutto ed è tornato nella sua città, abita sulle Torricelle in mezzo al verde, e continua ad elaborare con la stessa energia di quand’era partito idee innovative e progetti in vari campi, soprattutto in ambito blockchain e tecnologie sperimentali.
In Italia non si fanno più figli. Lei che è un “esperto” del settore ed anche di comunicazione sa dire che cosa bisogna fare per convincere gli italiani a fare più bambini prima che la denatalità ci cancelli dalla faccia della terra?
Prima di tutto bisognerebbe convincere gli Italiani a fare gli Italiani, cioè essere quel popolo che ha sempre trovato una strada nelle diverse sorti della storia, senza dimenticare le sue radici e la sua forza interiore. Un popolo che conosceva il senso del dovere e dei sacrifici, e sapeva trasmetterli ai propri discendenti.
Il sistema politico e parte della classe dirigente favoriscono, promuovono o anche solo accettano in silenzio un sistema di privilegi anacronistici da un punto di vista etico, storico ed economico
Lei è tornato a Verona con entusiasmo e con la disponibilità a fare qualcosa per la sua città. Ci sta riuscendo?
A Verona ho trovato tanta gentilezza ma anche tanta apatia e rassegnazione. Una città con un potenziale geografico, culturale, umano e imprenditoriale eccezionale, che però mi sembra sia rimasta quasi immobile da quando l’ho lasciata, con la conseguenza di retrocedere e perdere le posizioni che avrebbe meritato.
C’è un clima di diffidenza verso il nuovo e il futuro che mi ha deluso. Tante opportunità lasciate negli armadi per incompetenza o interessi di piccolo cabotaggio lasciano quantomeno perplessi. Le porto un paio di esempi: e penso a realtà come Barcellona che ha sviluppato il progetto di Smart City dando le deleghe ad un’italiana, la bravissima Francesca Bria, ed ora è all’avanguardia in Europa, o come Copenaghen, che ha risolto il tema dei rifiuti con un impianto di termovalorizzazione green che sta facendo scuola in tutto il mondo.
Senza parlare delle nuove tecnologie per scavare i tunnel o dei nuovi modelli di valorizzazione delle filiere produttive. Non è necessario inventare, basta copiare modelli già sperimentati e portatori di grandi risultai. Ma Verona è ferma e sembra quasi rassegnata ad una staticità comoda e non impegnativa, il cui pericolo storico però non è avvertito.
A che cosa è dovuta secondo lei la perdita d’importanza che Verona ha subito negli ultimi 20 anni?
A Verona, come in genere in tutta Italia, manca un sistema che premi la meritocrazia e che valorizzi le vere competenze. Si fa carriera con le relazioni sociali e politiche piuttosto che con il sacrificio, la passione e i risultati. Così, salvo rare eccezioni, vediamo una classe dirigente mediocre, che non è in grado di elaborare progetti di medio e lungo respiro perché non ne ha la capacità né la cultura, né ha l’intelligenza o l’umiltà di farli fare a chi potrebbe, per paura, o con la certezza, che poi non sarebbero in grado di realizzarli.
La conseguenza è che imprenditori, professionisti e persone volenterose stentano a partecipare alla vita pubblica, alimentando un circolo vizioso che favorisce solo gli interessi personali e di piccoli gruppi di amici degli amici.
Ora con l’arrivo di Draghi questo concetto assume una evidenza ancora più oggettiva, e spero che gli italiani ne diventino davvero consapevoli. Credo che “uno vale uno” se è valido per un voto democratico, non sia assolutamente riproponibile quando si tratta di assegnare delle responsabilità pubbliche. In questo senso non siamo tutti uguali, è ora di rendercene conto.
Mi immagino una Verona che entro i prossimi 10-15 anni diventi una grande città metropolitana dopo aver guidato la formazione della regione del Garda
Se dipendesse da lei che cosa farebbe per rilanciare la città ed il suo territorio?
E’ pleonastico dirlo, ma lo dico lo stesso: un rilancio di una città come Verona non dipende mai da una sola persona, ma da una volontà diffusa di lavorare per un sogno, per un progetto che renda orgogliosi e responsabili i nostri figli. Ci sono programmi a breve termine che sono legati prevalentemente alla buona amministrazione e programmi a lungo che dovrebbero servire a dare un indirizzo strategico alle opzioni per le scelte di breve e medio periodo. Se vuole sapere qual è per me un bel progetto per la mia città, tra i pochi in verità che ho ascoltato, sposo la proposta del senatore Danieli e mi immagino una Verona che entro i prossimi 10-15 anni diventi una grande città metropolitana, e che, dopo aver guidato la formazione della regione del Garda, altro grande progetto affascinante, ne diventi il centro organizzativo e politico.
I numeri sono incoraggianti e se ci fosse l’adesione della gente e dei politici, c’è anche lo strumento legislativo pronto, cioè la legge n.54 del 7 aprile 2014 che ha istituito le città metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria. Verona è stata ignorata, ma Verona supererebbe da sola i 400.000 abitanti, diventando la settima metropoli italiana, davanti a città come Firenze o Bari e al centro di un’area economicamente tra le più importanti e produttive d’Europa. Per farlo dovrebbe aggregare i comuni dell’hinterland, come Negrar Pescantina, Grezzana, San Martino B.A., San Giovanni Lupatoto, Buttapietra, Castel d’Azzano, Villafranca, Sona, Sommacampagna e Bussolengo con benefici economici e organizzativi molto significativi e di conseguenza con una prospettiva di miglioramento della vita di tutti propri abitanti molto alta.
Il tutto inserito in una nuova regione, quella del Garda, in armonia e sinergia con le città che come lei sono marginali nelle regioni di appartenenza, cioè Mantova, Brescia, Trento e Vicenza, ma che messe insieme formerebbero un tessuto ricettivo per il turismo, l’economia e la cultura davvero formidabili.
Negli anni passati abbiamo perso molte opportunità e alcuni asset importanti e non vedo “ribollire le acque” per una tensione verso un futuro diverso e migliore
La nostra Università potrebbe essere il catalizzatore di un polo culturale e studentesco unico, modello americano, con una logistica atta a servire un territorio molto più ampio, sviluppando sinergie con Trento e Vicenza e potenziando le attività di ricerca con collegamenti internazionale. E non dimentichiamo la TAV, le autostrade o il collettore e depuratore del lago che richiederebbero presenza e scelte coraggiose e lungimiranti.
Ma qui mi fermo perché il mio entusiasmo fa correre troppo la fantasia e rischio di sembrare solo un visionario.