Gli Europei di calcio oltre al bel risultato dell’Italia hanno avuto un altro effetto. Hanno completamente oscurato un fatto eclatante e gravissimo: il tentativo da parte di alcuni grandi club europei di creare una “Superlega”, monopolizzando tutto il calcio mondiale e le ingenti finanze che ci girano attorno. Ma siccome nulla al mondo accade per caso, ritornarci sopra non guasta. Se non altro per capire dove sta andando questo sport che coinvolge centinaia di milioni di persone e miliardi di euro. Uno sport popolare, che più popolare non si può, che con la sovrapposizione di interessi sempre più grandi, si sta separando sempre di più dalla gente. Un processo che si è svolto lentamente, ma che ha avuto effetti dirompenti, di cui il tentativo iper-capitalista della Superlega è l’ultimo step. Fallito. Per ora.
Il calcio è un aspetto da non sottovalutare della cultura popolare. Quindi va ricondotto al popolo. Cioè alle origini, quando ogni città aveva la sua squadra costituita da giocatori che erano suoi abitanti o della zona. Il Verona, di proprietà di qualche veronese, aveva i giocatori veronesi; il Genoa, genovesi ecc. Erano delle piccole nazionali. E infatti ancora oggi le nazionali si basano su quel medesimo principio fondante. Poi i giocatori hanno cominciato a venire da fuori, ad essere ingaggiati. Dapprima s’accontentavano di un posto di lavoro nell’azienda del “patron” della squadra, poi vennero gli stipendi sempre più pesanti, il calcio-mercato e tutto quello che sappiamo. Oggi ci si meraviglia se nel Verona gioca un giocatore veronese. Idem per le altre città. Ma anche le proprietà delle società si sono staccate dal territorio. Oggi, per esempio, tanto per non andare lontano, il Verona è di un imprenditore modenese. Il Milan di un cinese. Dell’identificazione club-squadra- città c’è rimasto solo il brand. E il pubblico. Ed è qui che casca l’asino. E’ qui che, separate le società dalla gente, svincolato il calcio dal popolo, diventa fatale che la deriva iper-capitalistica della Superlega torni all’attacco. Ma un rimedio c’è. Bisogna trovare il modo per permettere alla gente di possedere la propria squadra. Utopia? Non proprio. E’ un progetto che va costruito utilizzando proprio quegli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione. Come il web ha cambiato la nostra vita, così la blockchain può cambiare il rapporto calcio-appassionati. Questo articolo è solo una premessa. Ne seguiranno altri per informare chi è interessato in che cosa consiste questa possibilità e qual è lo stato dell’arte.