A Vittore Carpaccio (1460-1526), pregevole artista veneto, il Comune di Conegliano e Civita Tre Venezie, con la partecipazione della Regione Veneto, con il patrocinio della Provincia di Treviso e con il contributo di numerosi sponsor pubblici e privati, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, dedicano, a poco più di cinquant’anni dalla storica esposizione del 1963 al Palazzo Ducale di Venezia (aneddoto di costume gastronomico: fu in quell’occasione che si inventò il modo di presentare carne e pesce “in carpaccio”) una mostra a Palazzo Sarcinelli aperta fino al prossimo 28 giugno. Curata da Giandomenico Romanelli, come il bel catalogo Marsilio, ripercorre ed [//]esplora l’ultima fase creativa, dal 1515 al 1525, di questo pittore che, non di primissima grandezza nell’innovativo crogiuolo veneziano tra Quattro e Cinquecento dominato da figure quali Giorgione, Tiziano, Lotto, Pordenone, Sebastiano del Piombo, va, però, a rappresentare un interessante esempio di tradizione espressiva innervata di particolarmente profonda sinergia con il nuovo contesto politico e culturale del territorio veneto. Lo sguardo del curatore esplora inoltre, ineditamente, l’attività del figlio di Vittore, Benedetto, che in terra istriana, dove si trasferì insieme al padre, egli si affermò con successo, sia riproponendo disegni e iconografie paterne, sia reinterpretando la lezione di Vittore in chiave più fantastica e antinaturalistica, dai bagliori quasi espressionisti, e in modi e spirito più popolareschi e di accesa policromia. Negli ultimi anni, l’opera di Carpaccio, narratore visionario, che aveva fatto della documentazione una favola seducente – basti ricordare le eleganti storie di sant’Orsola, le vittoriose imprese di san Giorgio sul drago o la vita monastica di san Girolamo – mutando il clima politico (l’alleanza, pericolosissima per Venezia, tra Impero e Turchi) e quello religioso (la tensione per l’avvento del luteranesimo) oltre che artistico, adotta un linguaggio più drammatico ed essenziale. Trovano meno spazio l’aneddoto e il dettaglio; il vedutismo ante litteram cede a una visione più naturalistica, di attenzione talora “botanica” e “topografica”; il cromatismo è più diversificato, pur senza rinunciare completamente all’amato rosso rubino; come pure resta il gusto per la teatralità. Subentra, invece, una grande attenzione per la fisionomia facciale, quasi a testimoniare il passaggio da un interesse verso l’esterno, di natura e uomo trasfigurati nel loro apparire, a una ricerca di più sostanziale essere. Il percorso, prima ancora che artistico, è umano. E’ un viaggio interiore, che sublima il tormento dell’anima in lirica poesia; lungo un ben documentato itinerario di luoghi che dalla nativa Venezia portano all’Istria. Tra gli oltre cinquanta pezzi esposti (dipinti, pale, teleri, portelle d’organo, disegni, documenti e stampe) si possono ammirare opere celebri accanto a interessanti inediti. Sia di Vittore, sia, soprattutto, di Benedetto, mai esplorato prima. C’è l’innovativo, e quasi sconosciuto perché sito all’interno del monastero benedettino nella veneziana Isola di san Giorgio Maggiore, “San Giorgio che lotta contro il drago”, firmato e datato 1516, scelto anche come testimoial della mostra. Se confrontato con il più celebre “San Giorgio e il drago” della Scuola degli Schiavoni (1502-1504) si nota come all’ispirazione narrativa e fiabesca venga privilegiata, in particolare nelle scene della finta predella, la celebrazione della santità del martirio come via di salvezza. C’è l’inedito “Salvator mundi” (1514-1520), ripulito di recente, dall’iconografia ancora di chiara ascendenza antonellesca e belliniana, e il “Padre Eterno benedicente fra cherubini”, scoperto da poco. Quest’ultimo, conservato nella parrocchiale di Sirtori (Lecco), è probabile lunetta di una grande pala d’altare risalente agli anni Venti, dai colori squillanti e realizzata con larga collaborazione della bottega. Alla stessa epoca risale il “San Paolo apostolo” (1520) dalla rara iconografia che, oltre ai consueti attributi del libro e della spada, introduce il dettaglio del crocifisso piantato nel cuore e del volto cotto dal sole carico di una nuova realistica espressività. E il bellissimo “Trittico di santa Fosca” (1514), qui eccezionalmente riunito, grazie a Permasteelisa Group, da Zagabria, Venezia e Bergamo, dopo lo smembramento ottocentesco a seguito delle soppressioni napoleoniche. Del 1515 è la affollatissima pala d’altare – sorta di ex voto moltiplicante all’infinito la crocifissione di Cristo – dedicata ai diecimila martiri del monte Ararat. La pala fa riferimento ai diecimila soldati romani convertiti al cristianesimo e per questo mandati a morte per crocifissione dal loro stesso imperatore, nella quale, però, il racconto antico si carica di allegoriche valenze contemporanee. Omaggio all’amata Venezia è il “Leone marciano” (1516) raffigurato “andante”, cioè in cammino, in una “anfibia” collocazione tra laguna e terraferma, allegoria e simbolo della Serenissima con i suoi domini di terra e di mare, proveniente dal Palazzo dei Camerlenghi a Rialto. L’attenzione verso i luoghi istriani si evidenzia in opere come “Entrata del podestà Sebastiano Contarini nel duomo di Capodistria” (1517) e nei brani paesaggistici della città di Pirano nella “Madonna in trono col Bambino e santi” (1518) realizzata per la chiesa di San Francesco della stessa città. Chiudono cronologicamente l’esposizione le portelle d’organo per il duomo di Capodistria (1523) con dinamiche e concitate scene da episodi biblici. Estrema testimonianza, tragica e drammatica, di un autore ancora di vivido ingegno e feconda creatività. Franca Barbuggiani

“Carpaccio – Vittore e Benedetto da Venezia all’Istria – L’autunno magico di un maestro e la sua eredità”
Palazzo Sarcinelli Via xx Settembre, 132 31015 Conegliano (Treviso)
Orari: dal martedì al giovedì 9.00 – 18.00, venerdì 9.00 – 21.00, sabato e domenica 9.00 – 19.00
Info e prenotazioni: 199 151114, www.mostracarpaccio.it Catalogo Marsilio
Fino al 28 giugno 2015