(di Gianni De Paoli) Sarà perché è la “città dell’amore”, ma Verona è nel cuore dei gay. Spesso e volentieri ormai vengono in riva all’Adige a fare la loro variopinta manifestazione di orgoglio omosessuale ( gay pride). E ci vengono anche oggi.
Per la verità l’amore di Giulietta e Romeo, sul quale è stata abilmente costruita buona parte del successo turistico della città, non era propriamente un amore “omosex”: erano un ragazzo ed una ragazza, secondo tutti i canoni della tradizione. Ma non formalizziamoci! I sentimenti sono sentimenti. Non si può andare a sindacare a chi sono destinati. Hanno quindi ragione i “gay” quando dicono che possono amare chi vogliono e come vogliono. Sono indubitabilmente fatti loro. E hanno ragione a esigere rispetto. Il rispetto dovuto a ogni essere vivente, perché la vita è sacra.
Quello che non ha senso è quel “pride” (ingl. orgoglio). Non c’è niente da vantarsi nell’essere omosessuali. Come non c’è niente da vantarsi nell’essere “etero”. I “gay pride” sono sbagliati proprio nella loro ragione sociale. Non hanno senso proprio per quell’orgoglio sbandierato, il più delle volte in modo molto volgare e pagliaccesco. Non c’è bisogno di mostrare il culo e mettersi in testa le piume di struzzo per esigere rispetto. Anzi. Essere “omo” o “etero” è una questione privata, intima, che va gestite con serietà. La spettacolarizzazione della sessualità sa molto più di esibizionismo e di speculazione politica che di rivendicazione dei diritti. Se poi a questo indebito orgoglio si vuole aggiungere la pretesa di avere dei privilegi, come quello di inserire nel codice penale, che già contiene tutti gli strumenti giuridici per tutelare la loro “diversità”, delle leggi speciali che puniscano chi disapprova i loro comportamenti, allora il “gay pride” diventa la discesa in piazza di una minoranza che pretende di imporre la propria visione del mondo.