(di Gianni De Paoli) Berlusconi aveva fatto il suo tempo. Ci voleva uno più giovane, uno in cui la “maggioranza silenziosa” si riconoscesse e venisse percepito più vicino del Cavaliere, popolare sì, ma distante, quantomeno per il suo status. Una destra popolare, o populista che dir si voglia, deve guidarla uno del popolo. E di Salvini tutto si può dire meno che non sia uno del popolo.
Le elezioni del 2018 lo eleggono leader del centrodestra. Grande successo della Lega, passata da partito macro-regionale a partito nazionale; ridimensionamento di Forza Italia; legittimazione di Fratelli d’Italia come erede di An.
Salvini, assieme a Berlusconi e alla Meloni, aveva preso i voti per portare il centrodestra al governo. Poi, nel giro di qualche settimana, il salto della quaglia. Anziché tenere il punto, molla la coalizione e si butta in un’avventura tutt’ora incomprensibile, se non alla luce di qualche promessa internazionale: va a fare un governo coi grillini. La cosa era passata, più che come un tradimento, come una genialata per mettere le mani sull’esecutivo poi…si sarebbe visto. Invece s’è rivelata un errore storico. Tanto che solo dopo un anno Salvini fa cadere Conte che in quattro e quattr’otto lo sostituisce col Pd. Il resto è cronaca.
Oggi “a babbo morto” non è difficile valutare come si è mosso Salvini. Avrà anche fatto diventare la Lega il primo partito italiano – complimenti!- ma in termini politici la scelta di andare al governo con Di Maio s’è dimostrata disastrosa. Non sappiamo cosa sarebbe accaduto se non l’avesse fatto. Forse Mattarella avrebbe fatto un “Monti 2” con Cottarelli. O forse si sarebbe tornati alle urne. Sicuramente oggi non saremmo nella situazione di tenerci Conte fino al 2023 con il preciso compito da parte dei poteri forti di garantire che il prossimo presidente della Repubblica venga eletto da una maggioranza di sinistra. Maggioranza parlamentare, perché nel paese è maggioranza il centrodestra. La democrazia è un’altra cosa.