(di Giandomenico Allegri) La pandemia rischia di lasciare una cicatrice su un’intera generazione di ventenni e trentenni, già vittime della precarietà e con redditi mediamente più bassi rispetto ad altre fasce di popolazione (-11% rispetto alla media nazionale). Già durante il lockdown, secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, un giovane su sei ha perso il proprio impiego. C’è uno scenario sommerso e preoccupante su cui è doveroso che la politica faccia luce. Occorre mettere in cima all’agenda la situazione di una generazione che oggi più di ogni altra rischia di veder svanire le sue speranze, non solo lavorative, le aspirazioni, i progetti di vita. Si tratta di tanti giovani prevalentemente occupati nella cosiddetta “economia informale“, spesso con minori tutele. Di questo dobbiamo occuparci privilegiando un’impostazione politica lungimirante, che – oltre ad affrontare l’emergenza occupazionale post-Covid – inizi seriamente a progettare oggi le opportunità che i giovani potranno continuare a mettere a frutto nel medio e lungo termine.
I nostri giovani sono consapevoli che la pandemia porterà all’aumento del debito pubblico e a nuove misure di austerity a danno soprattutto delle nuove generazioni. Ma non possiamo far perdere a un’intera generazione la speranza. Non possiamo accettare che la spinta motivazionale dei nostri giovani si spenga, dobbiamo aiutarli a investire su di sé, sulla propria indispensabile formazione, a cominciare dagli studi universitari. Le stime dell’Osservatorio Talents Venture attestano una preoccupante riduzione delle iscrizioni per il prossimo anno accademico dell’11%. Il ministro dell’Università e della Ricerca, Manfredi paventa un calo che potrebbe toccare il 20%. Occorre incentivare la ripresa degli studi universitari, anche affrontando il tema degli affitti per i fuori sede, e avviare un circolo virtuoso di innovazione in campo occupazionale. Ricordiamo che l’Istat rileva come gli italiani siano già fra gli ultimi in Europa per livello di istruzione: in Italia i laureati sono il 19,6% della popolazione, un valore molto basso rispetto a una media europea del 33,2%.
Non si tratta solo di formazione e di occupazione. Si tratta anche di progetti di vita, di creazione di una famiglia e quindi, di riflesso, di natalità. Già l’Istat, prima dello scoppio della pandemia, aveva stimato un calo di 10mila nascite nel 2021. Ora il quadro sembra peggiorare ulteriormente, con stime che prevedono fino a 39mila nascite in meno. Non perché i giovani non desiderino la maternità e la paternità, ci dice l’Istat, bensì per rassegnazione, perché le loro condizioni socio-economiche sono un freno alla natalità. Dobbiamo lavorare a un orizzonte politico in cui non si ragioni in termini di Pil, di profitto privato, di tagli al welfare, di precarizzazione e di aggravio sulle nuove generazioni. Occorre immaginare e realizzare un sistema sostenibile, che non può prescindere da un’equa redistribuzione della ricchezza di cui lo Stato deve farsi promotore e garante.