(di Marco Danieli) Chi sa dov’è la Val Borago? Pochi. Eppure è a pochi minuti dal centro di Verona, cosa rara, forse unica per un luogo incontaminato, con una flora e una fauna selvatica che ne fanno un’oasi naturalistica di grande pregio. Una ruga della terra, vista dal cielo. Un vajo, come si dice in veneto con un termine derivato dal latino che indica un canalone scosceso insinuato fra dei monti, dalle dimensioni di 38 ettari, a 4/500 metri di altezza sul livello del mare, ricoperto da fitta vegetazione con delle piante che si pensa siano lì addirittura dalla preistoria, dove vivono diverse specie di animali selvatici, rettili, mammiferi e uccelli anche rari, soprattutto se si considera che attorno esiste tutta un’area altamente antropizzata. La Val Borago è insomma un pezzo di natura da preservare e pur non essendo un “parco naturale” con tutte le tutele che ne derivano, è comunque una Zona a Protezione Speciale, cioè inserita in un elenco dell’Unione Europea – fra l’altro per la valle passa un tratto del Sentiero E5 – di siti da conservare così come si trovano.
Questo però non è una garanzia sufficiente alla sua tutela per un gruppo di cittadini che si è unito in un’associazione finalizzata ad acquisirne la proprietà per farne un “topos” nauturalistico, dov’è interdetto ogni intervento dell’uomo per lasciarlo incontaminato. Preoccupazione non infondata, visto che la Val Borago è inserita nel più ampio contesto della Valpolicella, dove ogni fazzoletto di terra, se coltivato a vite, diventa una miniera d’oro per chi lo possiede, tanto che alcune aree adiacenti sono state regolarmente trasformate in vigneto. Quindi nel timore che fra pieghe delle varie legislazioni ( Comunali, Regionali e Statali) qualcuno trovi il sistema per trasformare il “vajo” in business, sta crescendo un movimento d’opinione per la salvaguardia della Val Borago.