(di Gianni De Paoli) Il trionfo di Zaia – ‘80%!- ripropone prepotentemente il tema dell’autonomia, la sua bandiera. Sono passati tre anni da quando col referendum del 22 ottobre 2017 il 98% dei Veneti si è espresso per l’autonomia, ma ancora non se n’è fatto niente. A Roma c’è chi mette i bastoni fra le ruote. Allora un po’ di cronistoria, tanto per rendersi conto di come il Veneto viene trattato dallo Stato centrale in mano da dieci anni alla sinistra. Una sinistra che in Veneto a parole dice di essere favorevole all’autonomia, ma che poi a Roma fa di tutto per bloccarla.
La richiesta di autonomia dei Veneti parte fin dagli anni ’80, ma l’atto ufficiale con il quale è stata sancita politicamente la loro richiesta è il referendum del 2017 che era stato ostacolato in tutti i modi da Roma, al punto che ce lo siamo dovuto pagare di tasca nostra. Da allora, date le proporzioni del risultato, non hanno più potuto ignorare la richiesta ed è iniziata una trattativa fra Zaia e il governo che, come da Costituzione, avrebbe dovuto definire i termini dell’autonomia, dalle competenze ai trasferimenti fiscali. Con una scusa o con l’altra il governo ha tenuto tutto fermo fino ad oggi.
Ci si chiede: ma perché se il 98% dei Veneti chiede l’autonomia, questa non viene concessa senza tante storie? Perché i siciliani, i sardi, i trentini e i sud-tirolesi, i valdostani, i friulani e i giuliani la ce l’hanno da settant’anni e i Veneti no? Adesso Zaia andrà a trattare ancora con più forza. Dirgli di no o, peggio, prenderlo in giro con scuse e dilazioni varie significherebbe creare una situazione di conflittualità con 5 milioni di cittadini della regione più produttiva d’Italia. Il Capo dello Stato, garante della Costituzione, questo non lo può, non lo deve ignorare.